Clemente di San Luca a TN: "Ignoranza preoccupante di alcuni addetti sull'applicazione delle regole"

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, commenta così le polemiche legate all'utilizzo del Var.
"Pur avendo giocato e allenato nel calcio (non calcetto) amatoriale (sì, ma federale) per più di cinquant’anni, posso anche accettare l’apprezzamento – non lusinghiero e poco gentile – che capisco soltanto di «palle di pezza». Quello che è inaccettabile, però, è che i sedicenti o presunti ‘addetti ai lavori’ continuino a parlare a sproposito delle regole del calcio ignorandone il dettato. Senza, cioè, conoscerle e soprattutto senza sapere che si tratta di norme giuridiche, che vanno lette, interpretate, applicate e discusse in quanto tali.
Questa ignoranza diffusa è assai preoccupante, perché consente di continuare a violarle, non solo impunemente, ma – quel che è peggio – con una giustificazione che, pur radicalmente erronea, viene presa per buona perché proposta da ex calciatori, ex allenatori, ex arbitri ed ex dirigenti, che traggono la loro autorevolezza in via esclusiva dall’essere più o meno famosi. Fanno, infatti, affermazioni grossolanamente inappropriate, alle quali, dal ‘sistema calcio’ nel suo insieme, a nessuno che abbia anche minime basi o conoscenze giuridiche viene consentito di replicare.
Hanno chiaramente timore di essere ‘denudati’. Temono il confronto serio, perché sanno bene che da esso sortirebbe una significativa diminuzione del potere arbitrario che detengono di fatto. Non vogliono che la «valutazione soggettiva» degli arbitri venga ridotta. Perché – è chiaro a tutti – quanta più questi ne hanno, più gli è possibile mettersi al riparo dalle critiche che denunciano iniquità e favoritismi, nascondendosi dietro la fisiologicità dell’errore umano: l’«errore scusabile». Ma – vorrei domandargli – se si tratta soltanto di errori, qual è la ragione per cui contrastano i ‘meccanismi’ che sono in grado di circoscriverli al minimo?
La risposta può rinvenirsi nell’articolo «Arbitri e tecnologia, come migliorare il rapporto», comparso nella rubrica «Fischio finale» sul Corsera del 6 aprile scorso, a firma di Paolo Casarin, ex arbitro oggi opinionista autorevole e molto seguito. Nel pezzo – che, a dirla tutta, non si segnala per spiccata linearità e coerenza concettuale – egli lascia intendere, nemmeno tanto implicitamente, che «un gioco spontaneo» come il calcio non sia adatto a metri di valutazione oggettivi come quelli derivanti dall’uso della tecnologia VAR. Eppure, egli espressamente afferma che «Anche un arbitro esperto può sbagliare. Ha bisogno di capire quello che è successo a pochi passi da lui». Ma, subito a seguire, aggiunge che «tra grida e urla l’arbitro di campo, chiama l’altro arbitro, seduto nella sala Var, pronto a fargli vedere la “verità” scoperta dalla televisione». Come a dire che questa «verità» sia fasulla, perché quella autentica può rilevarla solo l’arbitro in campo. Tant’è che mette in evidenza che «questo insieme tecnico» presenta «limiti della capacità di misurare», la quale andrebbe riconosciuta solo alla percezione umana del fatto. Una contraddizione palese. Se c’è un errore, vuol dire che la percezione umana è stata fallace.
E la contraddizione si aggrava, quando Casarin, dapprima si dichiara «certo che non tutti gli allenatori vogliono la Var a chiamata, perché si accontenteranno di un arbitro corretto e perché anche loro, dalla panchina, capiranno che ha fatto del suo meglio», e poi sostiene che «Gli arbitri debbono capire che gli allenatori hanno una capacità di valutazione dei contatti tra giocatori superiore alla loro». Si può sapere? Tanta confusione. Solo fuffa. Un po’ come quando il difensore calcia disperato il pallone in tribuna: non ragiona, non vuole sapere niente, difende il risultato.
Sabato, in Parma-Inter, abbiamo assistito all’ennesimo episodio che testimonia la fallacia di questo modo di ragionare. Carlos Augusto mette una mano fra le scapole di Camara che gli sta davanti diretto verso la porta avversaria e palesemente lo sbilancia. L’arbitro può non aver visto la spinta. Può aver commesso un errore nella rilevazione del fatto. Il VAR avrebbe avuto il dovere giuridico di richiamarlo a rivedere l’episodio. Non lo ha fatto. Illegittimamente. Il solito saccente commentatore ‘esperto’ ha sentenziato che la spinta era «leggera», e che pertanto era stato giusto non fischiare. Un puro ed assoluto arbitrio, contro la previsione normativa del Protocollo. Della ‘leggerezza’ non si trova traccia nel Regolamento. Quell’intervento, adeguatamente rivisto al monitor, avrebbe ‘costretto’ l’arbitro a qualificarlo giuridicamente in modo compiuto. E difficilmente avrebbe potuto farlo senza riconoscere la «negligenza» (non si può giocare adoperando le mani) e correggere il suo «errore chiaro ed evidente».
Lo ripetiamo ancora una volta, fino alla noia. Se veramente si vuole ottenere uniformità di trattamento nelle decisioni dei direttori di gara, la strada è semplice. Bisogna circoscrivere il più possibile la loro capacità di valutazione. Come? In primo luogo, mettendo definitivamente da parte quelle interpretazioni che inseguono la «lingua del campo». La lingua è una sola, quella italiana. E, in secondo luogo, per un verso, separando concettualmente l’accertamento del fatto (se c’è stato o no il contatto fra i giocatori in questione) e la sua qualificazione giuridica (se il fatto va qualificato o no come «negligenza», o «imprudenza», ecc.); e, per altro verso, rendendo effettivo il potere/dovere giuridico del VAR di richiamare l’arbitro alla review tutte le volte che (nelle 4 ipotesi previste) rinviene un episodio di dubbia accertabilità. Toccherà poi a questi, una volta rivisto l’episodio, decidere se, nell’accertamento del fatto, ha commesso un «errore chiaro ed evidente». Questo stabilisce il dettato normativo. In esso non v’è alcun riferimento alla «valutazione di campo», che, stando ai finti ‘esperti’ (privi del necessario know how giuridico), ne impedirebbe l’intervento.
2. A Bologna abbiamo sprecato una ghiotta occasione per accorciare sull’Inter. Dopo un primo tempo eccellente, la squadra s’è spenta. Stellini ha dichiarato che non è questione fisica, ma di testa. Sta di fatto che la cosa si sta ormai ripetendo sistematicamente. Allora, io che capisco solo di «palle di pezza», mi domando: ma perché al 15° del secondo tempo non si mettono in campo 2-3 giocatori freschi? Che sia questione fisica o di testa, forse la squadra si darebbe una scossa. Adesso, comunque, bisogna puntare a vincere le ultime sette partite. Sarebbe folle accontentarsi del secondo posto".
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