Juan Jesus: "Il Napoli mi voleva prima dell'Inter. Un mental coach mi aiuta, momenti difficili per colpa dei social"

Juan Jesus: "Il Napoli mi voleva prima dell'Inter. Un mental coach mi aiuta, momenti difficili per colpa dei social"
Ieri alle 18:55In primo piano
di Antonio Noto

"Un bel po' di gente mi chiama J. Persone intime. Puoi chiamarmi anche Giovanni? Sì, certo, tipo la figlia della mia compagna, mi chiama Giovanni, quindi... a volte anche i miei figli, per scherzo, mi chiamano Giovanni. Il mio migliore amico di Milano mi chiama Giovanni. Mi ha sempre chiamato Giovanni Gesù. Sono per metà italiano, quindi ha senso”. Comincia così un'altra simpatica intervista di Drive&Talk, format prodotto dai canali ufficiali della SSCNapoli, che ha stavolta come protagonista Juan Jesus mentre si dirige in auto al Training Center di Castel Volturno.

Com'è la tua routine mattutina?La mia routine mattutina... Beh, ne ho due: quando ho i bambini e quando non li ho con me. Quando ho i bambini con me ci svegliamo alle sette, perché devo prepararli, ovviamente ho la babysitter che mi aiuta. Preparo tutto e facciamo colazione, poi accompagno Dudu a scuola. Fa la seconda elementare, sarebbe il secondo... Lo lascio alle 08:05/08:10 e poi al ritorno prendo Maya e la lascio... Maya, la piccola, va all'asilo. Quindi vado direttamente al Training Center quando c'è la sessione di allenamento al mattino, così arrivo un po' prima, faccio colazione con calma e tutto il resto... Quando non li ho, mi sveglio con calma, mi preparo e poi vado subito a fare colazione".

Con i bambini in macchina, cosa fai?Niente, suoniamo, chiacchieriamo un po’. Ovviamente a Maya piace, infatti in macchina ci sono le sue bambole. Se non c'è una bambola in macchina, c'è il suo maialino, c'è Ariel, quindi tutti i suoi giocattoli. Ora che parla anche molto, è davvero divertente. Dudu al mattino è un po' tipo… a volte non vuole indossare la giacca perché ha caldo… D'inverno è davvero dura, quindi inizia un po' scontroso e poi metto un po' di musica e si anima. Gli dico ‘Dai, scegli tu la musica oggi’ e così inizia la giornata".

A casa tua c'è sempre musica?Sì, sì, mettiamo sempre musica. Tipo, sai, se non c'è musica, tutto diventa molto... Anche in giornate come queste, oggi è grigio. Quindi la musica è un buon modo per rallegrare la giornata nonostante il grigio".  

Il caffè lo prendi al mattino a casa? Ti aiuta a partire? "No, tipo, il caffè per me è... So che qui tutti bevono un sacco di caffè, vero? Caffè al mattino, caffè quando arrivi al lavoro, caffè a metà giornata, quindi c'è sempre caffè... c'è il caffè di Tommaso. Il caffè non fa per me, intendo, se lo bevo va bene, se non lo bevo, la mia giornata non cambia. Mi piace fare colazione seduto, con calma. Bevo il mio cappuccino. Anche troppo caffè a volte può fare male”.

E quando torni dal lavoro, vai a prendere i bambini a scuola?Sì, quando torniamo... ora gli allenamenti finiscono un po' più tardi, a volte non posso andare a prendere Maya. Perché Maya finisce un po' prima. Dudu sì, vado a prendere Dudu, se è martedì o giovedì lo prendo dalla scuola calcio. Poi restiamo lì, un'ora o un'ora e dieci, poi torniamo a casa, facciamo i compiti, giochiamo un po', ceniamo e poi ci godiamo la nostra mezz'ora di film tutti insieme, cartoni animati... Io, lui e Maya, ci sdraiamo sul divano, abbracciati. Poi a volte, quando non li ho e abbiamo un giorno libero, tipo ieri ci siamo allenati e oggi pomeriggio, a volte vado comunque a Roma per passare un po' di tempo con Fabi. Usciamo con gli amici, giochiamo a carte, usciamo a cena. Quindi ho molti giorni diversi durante la settimana”.

Dudu ha scelto lui il calcio?Quando aveva 3 o 4 anni ha avuto uno scatto per il calcio e ora ne è completamente ossessionato. Conosce tutti i giocatori di tutte le squadre. Tipo, ogni volta che c'è la possibilità di venire allo stadio, lui è sempre lì. Lo vedi, è sempre presente, conosce tutti, è come se fosse a casa. Ama davvero il calcio e onestamente, non solo perché è mio figlio, ha del potenziale. E’ alto, molto forte e tutto il resto, tira bene, ci sono già delle qualità che potrebbero renderlo un ragazzo con buone prospettive. In che posizione gioca? Gioca in difesa perché l'allenatore ha capito che almeno tiene le partite in parità, nessuno lo supera, quindi lo mette in difesa. Non ho insistito con Dudu, è stata una sua decisione. È partito così e ora va tutto bene. È un grande tifoso del Real Madrid. Gli piace vincere facile, ma quando abbiamo giocato contro il Real Madrid l'anno scorso, è venuto a Madrid tutto emozionato. Perché dopotutto penso che se posso dare ai miei figli la possibilità di realizzare sogni che io non avevo da bambino, allora ovviamente farò tutto il possibile”.

La vita di un calciatore è strana, com'è stato questo percorso per te? "Avevo dei piani, giocavo per l'América Mineiro, la squadra della mia città, Belo Horizonte, e pensavo: ‘Ok, resterò qui e farò quello che fanno tutti gli altri’: dall'América al Cruzeiro, dal Cruzeiro ai Paesi Bassi, dai Paesi Bassi forse alla Francia e poi di nuovo in Brasile. Di solito è questo il percorso. Ma, dato che sono molto religioso, Dio è stato molto buono con me, tipo: quello che pensavo si è rivelato molto più grande. Un mio amico mi ha detto: ‘Dai, andiamo a fare un provino per l'Internacional a Porto Alegre’. Giocaoa già, ero nato nel '91 e giocavo già con quelli nati nell'89/90, quindi giocavo sempre con ragazzi più grandi. ‘Se il provino va male, torno qui’. Avevo 14 anni. Quindi dissi: ‘Va bene, vado". Andai, feci il provino e lo superai. Ma il mio amico no, e pensai: ‘Oh no, cosa faccio adesso?’. Poi mio padre disse: ‘Resta’. A quel tempo, l'Inter Porto Alegre, e anche oggi, aveva un settore giovanile molto forte. Così, proprio in quel momento, decisi di restare. E le cose andarono davvero bene per me. Infatti, il primo anno, entrai subito nella nazionale Under 15, fui il primo giocatore Under 15 dell'Inter di Porto Alegre a farne parte. Dopo il secondo anno, l'allenatore della squadra 88/89 mi vide e disse: ‘Ho bisogno di qualcuno come te’. Perché ero alto e avevo una buona prospettiva, facevo il centrocampista. Così giocai con loro e rimasi con loro. Ci passai due anni, e a 18 o 19 anni mi allenavo, perché al centro sportivo, la categoria prima della prima squadra si allenava contemporaneamente alla prima squadra e su campi vicini, nel caso in cui l'allenatore della prima squadra avesse bisogno di qualcuno. Un giorno, ci stavamo allenando e l'allenatore mi disse: ‘Oggi vai a giocare terzino sinistro, visto che quel giocatore è fuori, fallo tu visto che sei mancino’. Mi stavo allenando, quando arrivò l'allenatore della prima squadra e chiese: ‘Chi è questo?’. ‘No, è un ragazzino...’. A quel tempo, c'era Kléber, che era molto importante in Brasile, un terzino sinistro, credo che giocasse in Germania, era sempre in nazionale. Kléber si era infortunato, avevano bisogno di un altro terzino sinistro, e lui disse: ‘No, vieni qui perché ho bisogno di te’. Al primo allenamento, ho pensato: ‘Devo dare tutto qui’, perché ho un'opportunità e non so quando me ne arriverà un'altra. ‘Così ci sono andato, ed è andata bene, sono rimasto in prima squadra e tre o quattro mesi dopo ho iniziato a giocare. Poi l'anno dopo ho fatto un'ottima stagione con la prima squadra, poi abbiamo vinto la Libertadores. E poi, dato che ero già in nazionale, ho fatto tutto il percorso delle nazionali giovanili, sono stato capitano, ho vinto il Mondiale Under 20, ho vinto il Campionato Sudamericano, ho fatto le Olimpiadi.

Le Olimpiadi sono state dopo il mio arrivo all'Inter. Avevo già una carriera importante, già avviata. Perché quando passi attraverso il settore giovanile della Nazionale, si aprono molte opportunità. E da lì, il Napoli era già interessato a me, all'epoca mi voleva ma il Presidente disse: 'No, non ti libero ora perché giochi, forse te ne vai a gennaio’, quindi dissi: ‘Ok, aspetto’. Il Napoli faceva già parte della mia storia. Poi a gennaio è arrivata l'offerta dell'Inter e sono andato all'Inter. Avevo venti anni, era il 2012. Quindi è andata bene, perché all'epoca c'era mister Ranieri. I primi sei mesi, ovviamente, non ho giocato, perché ero giovane. Ma per me è stato un onore, perché giocavo con i giocatori con cui giocavo sulla PlayStation sei mesi prima. Zanetti, Cambiasso, Milito... Sai? Persone importanti... Ivan Córdoba, Chivu... Quando eri lì, c'erano Maicon, Julio Cesar, Lucio, c'era anche Coutinho. Quindi per me è stata comunque un'esperienza molto importante, perché volevano mandarmi in prestito ma ho pensato: ‘Ma dove andrei in prestito? Sono qui con questi compagni di squadra, imparo da loro, che sono i migliori. Non ho fretta di giocare subito...’. Non avevo così tanta fretta, quindi ho detto all'agente: ‘Resto qui, per me va bene’.  Infatti, ogni volta che vedo Ivan Cordoba e Walter Samuel, e persino Chivu… sono sempre stati loro tre ad aiutarmi: ‘Fai questo, fai quello...’. Quindi sono stati, fin dall'inizio, importanti per la mia carriera. Ho imparato con persone vere, anche Cambiasso, sempre gentile. Poi ho avuto la fortuna di giocare con persone con cui davvero oggi è difficile pensare, se ci penso, ‘Wow, ho giocato con questo, quello, questo...’ Quindi per me, a vent'anni, è stata un'esperienza incredibile. E poi, naturalmente, ho fatto carriera all'Inter. Quando sono andato a Roma... a Roma ho giocato anche con Totti, Nainggolan, De Rossi, che oggi è uno di quegli amici su cui conto molto. Rüdiger, Manolas, persone che comunque... Dzeko, che per me ancora oggi Dzeko, anche se ha più di 30 anni, fa ancora la differenza. Dzeko è un attaccante incredibile. Così abbiamo fatto una semifinale di Champions League... E poi sono venuto al Napoli. Per farvi capire che la mia carriera aveva una prospettiva ma sono riuscito a fare ancora meglio, quindi sono sempre stato tranquillo, perché Dio è stato davvero buono con me ed è una delle cose per cui ringrazio sempre. Perché non avevo aspettative di fare qualcosa. Ho sempre lavorato, ho sempre dato il massimo e le cose sono successe. Se penso al settore giovanile dell'Inter di Porto Alegre, ci sono tre o quattro che hanno fatto bene: io, Pato, Tyson e Luis Adriano che sono andati allo Shakhtar. Quindi siamo solo noi, ma sono più grandi di me".

E’ stato difficile trasferirsi a Milano, città del glamour, a vent’anni? "Sono sempre stato molto professionale, perché per me questo è lavoro. Va bene che ci sia anche del divertimento, va bene che ci siano cose per cui dici ‘Ehi, ma giocare a calcio è facile’. Per me è sempre stato lavoro, perché vengo da una famiglia della classe media, normale, e quindi ho sempre fatto di tutto per aiutare la mia famiglia. Cioè, quando ho ottenuto il mio primo contratto da professionista, la prima cosa che ho fatto è stata comprare una casa per mia madre. Queste sono cose per ringraziarli di tutto quello che hanno fatto per me, compresi mio padre e i miei fratelli.  Quando ero piccolo, sono in pochi a sapere certe cose, a dodici anni andavo da solo agli allenamenti degli 11/12 anni perché mio padre lavorava, mia madre era casalinga, ma non poteva lasciare mia nonna da sola. Mio padre mi portò al centro sportivo due volte e io prendevo l'autobus, la metropolitana e poi camminavo per altri 10/15 minuti a piedi. A undici anni, devi fare questo viaggio, perché le distanze sono grandi, il Brasile è molto grande, era a circa un'ora o un'ora e dieci minuti di distanza. Ovviamente, andavamo sempre in gruppo, noi bambini ci incontravamo alla stazione della metropolitana. Ma sono diventato responsabile a dieci/undici anni perché dovevo badare a me stesso. Quindi da lì in poi, per me, è diventato già come un lavoro. A volte mio padre doveva scegliere: ‘Cosa faccio? Ti mando a scuola? O compro...’ Non lo so, non che ci mancasse il pane, ma doveva comunque fare delle scelte. Non è che mio padre guadagnasse così bene, lavorava in farmacia. Era un modo per ringraziarli era anche questo, ed è per questo che la prima cosa che ho fatto è stata comprargli una casa. Alla gente piace dire: ‘Ah, guadagna tanto perché è un calciatore, fa la bella vita’. Per me è un lavoro, a prescindere. Sappiamo com'è il calcio: ci sono stagioni in cui puoi fare bene e stagioni in cui puoi andare male. Ma do sempre il 100% perché per me è una cosa seria. Ho una famiglia che dipende da me, ho dei figli. Ho un dovere. E così sono maturato un po' prima. Poi a 15 anni mi sono trasferito a Porto Alegre, vivevo in un collegio, quindi per me andare al Milano è stato facile, anche se era dall'altra parte del mondo. A Milano è facile perdere la testa: giochi nell'Inter, hai vent'anni e ci sono troppe distrazioni. Se non hai la testa... Abbiamo visto nel calcio quanti ragazzi forti hanno perso la testa perché a Milano, se non sei davvero concentrato, se non sei lì per lavorare, ti rovini”.

Giocatori come Javier Zanetti, Julio Cesar, Maicon in cosa ti hanno aiutato? "Guarda, prima di tutto, l'accoglienza, nel senso che a quel tempo c'era anche Thiago Motta, io vivevo in un hotel, Julio e Thiago Motta era venuto a mangiare con me. Mi dissero: ‘Se hai bisogno di qualcosa, faccelo sapere’. Maicon mi disse lo stesso. Poi, in quel periodo, arrivò anche Guarin con me. Quindi era un bel gruppo, ho avuto un'accoglienza importante. Poi sentire cose come da Zanetti, che all'epoca aveva 37/38 anni: ‘Ma hai davvero vent'anni? Impossibile che tu ne abbia vent'anni, corri come un cavallo!’. Ho detto: ‘Questa è la mia caratteristica’. Ma anche perché parlavano un po' di portoghese, essendo argentini e avendo sempre vissuto con brasiliani, conoscevano un po' di portoghese. Quindi era davvero importante. Come ti ho detto prima, Walter Samuel mi ha sempre aiutato: ‘Guarda J, non fare così, cerca di fare così, non andare troppo avanti, non è sempre necessario fare la guerra’. Per esempio, anche Chivu diceva: ‘Cerca di essere un po' più calmo con la palla’. A vent'anni, mi ispiravo molto a Lucio, che prendeva palla e dribblava tutti. Ma anche in allenamento Lucio era un animale. Volevo giocare come Lucio, e facevo lo stesso, aggressivo... Infatti, nella mia prima stagione all'Inter, credo di aver preso 18/19 cartellini gialli. Qualcosa del genere, non ricordo se fosse la prima o la seconda stagione. Ero molto aggressivo, ma il tempo passa e si imparano tante cose. Quindi posso dire di aver avuto dei maestri giusti al momento giusto”.

Questo estro dei brasiliani, questa voglia di divertirsi e far divertire con la palla, da dove pensi che venga?Viene dalla strada, perché giocavamo per strada da bambini. Nel senso che ci divertivamo con gli amici, non c'erano altri giochi da fare, c'era solo il pallone. Si giocava per strada, sui campi di sabbia, su campi buoni e su campi cattivi. Ma ci si divertiva, e per noi il divertimento era giocare a calcio. Quando c'era tempo libero a scuola... a calcio! Sappiamo che il calcio è una parte fondamentale della vita in Brasile. Una cosa che vedo è che oggi, il Brasile come nazionale, purtroppo, ha perso questa cosa. Perché ci sono molti giocatori che giocano in Europa, prima ce n'erano solo pochi, ma erano quelli che giocavano tranquilli. Ok, erano dei fenomeni. In effetti, il peso che la nazionale brasiliana ha oggi è significativo. Perché dopo le nazionali del 2006 e del 2010, è dura... Perché tra Julio Cesar, Dida, Cafù... Dani Alves, Juan, Lucio, Roque Junior, Emerson, Gilberto Silva, Roberto Carlos, Kleber, Ze Roberto, Kakà, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano, Robinho, Diego… È sempre stata una nazionale molto importante e quindi oggi, a volte, mi dispiace per Neymar perché ha così tanta pressione addosso, perché Neymar è uno di quelli che avrebbe potuto giocare con questi ragazzi. Va bene se la gente dice: ‘Ma non è vero’. Perché conosco Neymar da quando aveva 16 anni, ed è sempre stato in Nazionale. Neymar è fortissimo, è uno di quelli che gioca con questa cosa, che gioca senza... ‘Mi diverto e basta’. Come Ronaldinho, ovviamente, ci dispiace, perché Ronaldinho era così forte che si divertiva. Ha persino vinto un Pallone d'Oro, non c'era bisogno di vincere dieci Palloni per dire di essere il più forte. Ronaldo, il Fenomeno, se non si fosse infortunato al ginocchio, avrebbe potuto vincere facilmente dieci Palloni d'Oro. Ma con la massima calma, perché è il più forte di tutti. Non ho mai visto Maradona, ma Ronaldo, il Fenomeno, per me è sempre stato il più forte, perché se ascoltiamo Cannavaro, Maldini, Nesta, tutti questi ragazzi che sono tra i più grandi difensori, che dicono: ‘Ho fatto fatica con Ronaldo’, pensi: ‘Cosa potevo farci, non l'ho nemmeno visto’. Per farvi capire che Ronaldo per noi in Brasile è un idolo, assolutamente perché era il più forte. Il calcio è cambiato molto oggi, non è più la nazionale brasiliana è divertente da guardare. No, perché oggi il calcio è cambiato, ma anche il nostro. Voglio dire, oggi corriamo molto di più, siamo più veloci, siamo più forti. Oggi la qualità tecnica a volte passa in secondo piano. E questo mi dispiace un po', perché oggi conta solo la corsa, la potenza, chi è più forte, chi è più potente... E quando emergono giocatori come Kvara, che fanno la differenza, la gente si chiede: ‘Da dove salta fuori questo?’. Fa cose che non appartengono al calcio di oggi. Stiamo guardando il campionato di quest'anno, la parte alta va bene, ma nella parte bassa della classifica tutti sono vicini, sono sempre partite difficili, bloccate, quindi il calcio è cambiato molto. Oggi sono i dettagli che a volte fanno la differenza. Un errore, magari una punizione, ci sono partite che vanno male. Ma oggi il calcio è molto equilibrato”.

Sulle Olimpiadi:Ho partecipato alle Olimpiadi di Londra nel 2012, è stata un'esperienza meravigliosa. Ero alla cerimonia? Non ci siamo andati perché giocavamo il giorno dopo. In realtà, non abbiamo nemmeno soggiornato al Villaggio Olimpico, perché il calcio, essendo in movimento, dovevamo andare a Manchester, a Newcastle, e alloggiavamo sempre in un hotel diverso. Quindi si vivono le Olimpiadi in modo diverso. Siamo stati al Villaggio Olimpico per due giorni, ed è stato come una vacanza, il che significa che tutto era aperto. Certo, prima c'è la sicurezza, dopo averla superata, puoi andare dove vuoi, ovunque. C'era un punto ristoro, magari mentre mangi lì passa Lebron James, questo passa, il nuotatore passa. È come una vacanza mondiale, tutti insieme. Il calcio, ovviamente, la nazionale, ha scelto di non andarci. Chi fa tiro con l'arco, potrebbe aver perso il primo giorno, ma rimane lì. Puoi rimanere fino alla fine delle Olimpiadi, non è che devi andartene. Quindi quell'atleta è già in vacanza. Perché lì fanno feste, tutto... È un villaggio, un'esperienza fantastica. Per me è stato fantastico. perché sono comunque arrivato in finale. Abbiamo perso contro il Messico. Ma abbiamo comunque vissuto un'esperienza che, come hai detto, tutti gli atleti desiderano vivere. È davvero una cosa fantastica. È come essere nel villaggio, a ogni partita c'è una cerimonia... Per esempio, abbiamo giocato la finale a Wembley e c'erano 95/96.000 persone. È stato bellissimo, a volte mi vengono anche i brividi a ricordarlo. Quindi le Olimpiadi sono state davvero fantastiche. Come è stato tornare a casa con la medaglia d'argento e non quella d'oro? Ci siamo sentiti male perché eravamo i più forti. Nella nostra squadra avevamo Neto della Fiorentina, Rafael del Manchester United, Thiago Silva, io, Marcelo. A centrocampo c'era Sandro, che all'epoca giocava al Tottenham. Quanto è forte Thiago Silva? E’ incredibilmente forte. Poi c'era Sandro, poi c'erano Neymar, Hulk, Lucas, Pato, Ganso... Eravamo in tanti, eravamo la nazionale più forte, potevamo vincere facilmente. Ma il Messico ha tirato due volte in porta... Il calcio è strano e abbiamo perso. Siamo rimasti delusi perché le aspettative erano alte. C’era anche Oscar a centrocampo. Abbiamo tirato in porta, credo, 20 volte, poi c'era Ochoa. Dopo aver incontrato Ochoa a Salerno, ho pensato: ‘Non voglio proprio rivedere questo ragazzo0. Ha parato tutto, ha parato tutto. È sempre una medaglia, rimane lì per la storia”.

Il calcio è cambiato, in meglio o in peggio? "Posso dire non sulla pressione esterna. Ho imparato ora, ho anche un amico che fa il Mental Coach, di nome Alessandro, che mi ha aiutato anche quando sono arrivato a Napoli. Volevo fare cose che non avevo mai fatto prima, ma se sei mentalmente forte, la mente controlla tutto. La mente è quella che sicuramente ci aiuta. A volte pensiamo: ‘Sono stanco oggi, non ce la faccio’. Se inizi a entrare nell'umore giusto, e lo dice anche il mio psicologo, non puoi sempre nutrire la tua mente di cose negative, perché dalla mente vanno al corpo, dal corpo ai muscoli, e poi diventa un disastro. Oggi ci sono molte critiche, perché purtroppo tutti possono parlare di calcio, ma non funziona così. Perché se sei, per esempio, uno chef, non posso dirti: ‘Rendi questa pasta migliore’, perché non sono uno chef. Ma se vuoi parlare di calcio, come minimo devi capire che siamo esseri umani, abbiamo problemi e difficoltà proprio come tutti gli altri. Magari uno ha una brutta stagione ma non sai cosa sta succedendo a casa, perché magari, per esempio, uno ha un problema con sua moglie, uno ha un problema con suo padre, con la sua famiglia... Questo causa stress che non ti permette di rimanere concentrato, anche se è il nostro lavoro, siamo pur sempre esseri umani. A volte non si riesce a concentrarsi perché si hanno dei problemi, magari il figlio è malato a casa, siamo genitori. Ha gli stessi problemi... Abbiamo gli stessi problemi di tutti, ci sono preoccupazioni e problemi che tutti hanno. Non siamo robot, questo è ciò che la gente deve capire. Perché oggi tutti parlano: i ragazzi di 15 anni, quelli di 20, quelli di 30, quelli che non hanno mai giocato a calcio... Parlano perché oggi vogliono ottenere like o visualizzazioni. Tutto questo... perché purtroppo oggi la tecnologia ha cambiato molto la comunicazione. Devi fare discorsi, ma utili. Perché dall'altra parte c'è un'altra persona. Perché se non ti sto simpatico e ti critico solo perché non mi piaci, che senso ha? Non funziona così, stiamo lavorando. Questo è il nostro lavoro ed è il nostro dovere, ma questo è tutto... La pressione oggi è molto, molto forte. Nel senso che se giochi male in una partita, ti riempiono di insulti. Non mi cambia e non mi ha mai cambiato perché sono già cresciuto. Ne soffrivo un po' a 23/24 anni, ma a 30/33 anni se mi insultano, se me lo dicono, per me è lo stesso, non cambia nullaPerché quello che conta per me è il parere dell'allenatore, della società, dei miei compagni e magari delle persone che mi sono vicine, che sanno chi sono e come lavoro. Vado a letto sereno perché ho fatto la mia parte, ho dato il massimo, ho commesso un errore, non ho commesso un errore, ma ho dato il 100%? Non l'ho dato? Non l'ho dato. Ma sono tranquillo, sono consapevole delle mie qualità, delle mie caratteristiche e del tipo di persona che sono. Perché oggi è molto facile, ma non parlo solo di calcio. Oggi, purtroppo, i social media sono diventati qualcosa di totalmente insensato, nel senso che tutti possono parlare, posso criticarti perché sei vestito così, ma perché ti piace questo tipo di musica... non funziona! Ognuno ha il suo carattere, il suo modo di vivere. Purtroppo, c'è già troppo odio in giro, guerre e tutte queste cose. Vivo la vita serena, senza problemi, voglio che i miei figli crescano bene in un mondo pacifico. A volte penso... sono davvero preoccupato, non so dove andremo a finire con la tecnologia, non so come evolveranno le cose per i miei figli in futuro, perché oggi tutto è troppo facilmente accessibile.

Tutti vogliono apparire i migliori. Vogliono essere le star, i più divertenti, ma insultare sempre gli altri, c'è sempre un insulto nel mezzo, e questa è una cosa seria. È un mondo irreale che purtroppo... Ma dobbiamo insegnare loro a vivere meglio con queste cose dentro di noi. C'è il film d'animazione Inside Out che ti insegna cosa ti passa per la testa, ed è tutto vero. Nel secondo film mi sono emozionato perché l'ansia è presente in tutti noi. Abbiamo problemi e difficoltà. L'anno scorso ho attraversato momenti personali molto pesanti, ma sono cose private di cui non voglio parlare con nessuno. Ma mi hanno causato un po' di ansia perché erano cose serie, cose difficili da sopportare, anche se guadagno quello che guadagno, ho una bella vita, ho una compagna che mi è sempre accanto, ho i miei figli, ma nonostante ciò, ho i miei problemi. E il problema dell'ansia che si vede alla fine del film, se qualcuno non l'ha visto, racconto il finale. Bisogna controllare l'ansia, se ci si riesce, andrà tutto bene. Perché ognuno di noi ha i suoi problemi. E dobbiamo insegnare ai bambini e ai ragazzi che l'ansia va controllata in un certo modo, così come gli attacchi di panico, la depressione... Queste sono cose che devono essere prese sul serio nelle scuole, è estremamente importante. Perché è questo che ci manca, oggi il nostro mondo è diverso da quello di vent'anni fa. Vent'anni fa avevo 13 anni, ma non ero come i tredicenni di oggi, che sono molto sviluppati. Ho mia figlia in Brasile, che ha 15 anni, ed è completamente diversa da me perché ha vissuto in un'altra epoca. Dobbiamo prestare molta più attenzione alle cose che contano davvero, affinché possano crescere e diventare adulti diversi. Perché, per come vanno le cose ora, saremo i più depressi, i più grassi e persino i più stupidi di mente e di testa, perché tutto è troppo facile”.

Come hai superato quei momenti? Li ho superati con la psicologa, ovviamente. Perché ragazzi... non serve essere pazzi per parlare con uno psicologo, ma con un medico, una persona che ti può aiutare a trovare un percorso, funziona. Funziona perché comunque... la gente mi chiede: ‘Perché giochi bene nonostante le critiche a Verona?’. Per me è lavoro... non ho bisogno di rispondere con messaggi polemici su Instagram. Ora sto giocando bene perché mentalmente sto bene, sono tranquillo, sono sereno. La mia vita privata va alla grande, i miei figli stanno bene, sto bene con Fabi, ovviamente, insieme a sua figlia. La nostra vita funziona. Oggi è tutto molto più calmo e leggero perché mentalmente sto bene. Se la mente funziona, tutto funziona. Devo essere prima di tutto un esempio per loro. In effetti, la mia carriera non è mai stata macchiata da controversie. Nel senso che non sono mai stato visto, magari, ubriaco, o che abbia avuto un incidente o qualsiasi altra cosa strana. Ho sempre cercato di essere una persona corretta. Ognuno ha i suoi difetti, commette errori o torti. Non ne dubito, ma ho sempre cercato di essere un esempio. Ma prima di tutto per i miei figli, perché sono a casa con me e sicuramente parte da lì. Forse Dudu potrebbe pensare: ‘Non mi piace questo di papà, ma papà è così’. Devo essere d'esempio per loro. Per esempio, per le mie figlie femmine, forse dovrei alzare l'asticella. ‘Se un uomo non si comporta come mio padre, che si prende cura di me, che mi sta accanto, non lo voglio’. Il mio esempio di uomo è mio padre: se ti comporti come mio padre, o forse anche meglio, allora va bene." Perché si dice, anche nei libri che ho letto, che le donne guardano il padre e inconsciamente cercano uomini che lo riflettano. Quindi voglio essere un buon padre e, forse in futuro, in un futuro molto lontano, che mia figlia abbia un bravo ragazzo, un bravo uomo al suo fianco, qualunque cosa accada”.

Cosa fai adesso?Ora vado a mangiare, mi alleno e poi devo tornare a casa. Perché oggi ho i bambini, oggi siamo insieme perché è il mio giorno con loro. Stiamo insieme, anche se oggi piove un po', quindi... faremo i popcorn. Quando fa così, prepariamo sempre i popcorn, guardiamo film e ci rilassiamo. Poi coloriamo, giochiamo, facciamo quello che dobbiamo fare... Ma ora ci stiamo preparando per l'allenamento, perché per me è lavoro... Vado a lavorare. Mi fermo sempre a salutare tutti. Non è che io sia dall'altra parte perché sono un calciatore, siamo colleghi. Vado a salutare tutti. Per me è come una famiglia, ma non è così solo al Napoli, era lo stesso all'Inter, ho un buon rapporto con tutti all'Inter. Lo stesso a Roma. Perché per me il contatto con le persone è importante. Ho bisogno di conoscere i nomi, ho bisogno di vivere bene dove lavoro, perché quando vieni al lavoro hai un motivo in più per venire felice e sereno”.