Da 0 a 10: la storica decisione di ADL su DAZN, l’incredibile labiale di Mariani, il messaggio di terrore di Kvara e l’avvelenata di Raspadori
Zero interviste a DAZN. In cauda venenum nella notte del Maradona, con De Laurentiis che dichiara guerra all’emittente che detiene i diritti del campionato. Uno show nello show quello di Aurelio, che già nel pregare inveisce come una Valeria Marini qualunque contro le telecamere nel tunnel degli spogliatoi e poi diventa virale per i mezzi squat sulla poltrona al grido ‘Chi non salta bianconero è’. Che voglia togliere pressione alla squadra e accentrare su di lui polemiche e discussioni? Aurelio 'distrattore' di massa. E combattente dei mass-media.
Uno il turno, il prossimo, che pare avere la faccia di un bivio. L’Atalanta va ad affrontare la Juve, la Roma a Firenze per testare i progressi della cura De Rossi e il Napoli attende il Torino al Maradona. Ci sono tutti i presupposti per rosicchiare ancora punti, posizioni, convinzioni. Per ricordare chi siamo, cosa siamo stati in grado di fare, cos’altro ancora resta di quell’eco tricolore. Non siamo ancora guariti, ma nella “notte che deve passare” di De Filippo diciamo che siamo arrivati almeno alle quattro del mattino. All’alba manca davvero poco.
Due minuti e Cambiaso invita Kvara, non consenziente, ad un tango di Roxanne a centro area. Mariani invece di fare l’arbitro, si trasforma nel giudice Mariotto di Ballando con le stelle e affida un voto ‘DIECI’ al bianconero. Lo stesso bianconero che, a metà ripresa e già ammonito, prova un numero di trasformismo con lo stesso KK, cercando di sfilargli la maglietta dopo essere stato saltato. Sarebbe il secondo giallo, ma Mariani si inventa il colpo di genio per non estrarlo: non fischia nemmeno fallo. La perla? Quando ferma il gioco, contro il regolamento, col Napoli in contropiede e Bremer a fingere un dolore al pieno. Il labiale inchioda la mediocrità del direttore di gara: “Pensavo fosse la testa, ho sbagliato io”.
Tre iene che fiutano odore di zebra nella savana. Ci sono frammenti di una partita, più significativi di altri, fotogrammi che non hanno bisogno di essere raccontati, ma sono essi stessi a raccontare. La foto di Raspadori, Di Lorenzo e Anguissa in fila indiana, manco ci fosse Disco Samba nelle casse del Maradona, pretende priorità nel commento. Spiega cosa voglia dire ritrovare certe motivazioni sopite, per un istante è sembrato di rivedere i ‘Dieci assatanati’ invocati da Spalletti lo scorso anno. “Al Maradona, tutte le mattine, quando sorge il sole, una zebra muore. Si sveglia già morta, perché si vede che non stava molto bene il giorno prima..” Chioserebbe Aldo in Così è la vita.
Quattro occasioni ghiotte fallite dalla Juve. Vero. Verissimo. Vlahovic litiga per 90’ con la qualifica di bomber, ma molte di queste situazioni nascono da una scelta precisa del Napoli: tornare a fare il Napoli. Qualche sanguinosa palla persa in costruzione, una di Olivera e l’altra di Traore, sono il prezzo che Calzona ha scelto di pagare in questo estremo tentativo di ricostruzione. Mazzarri aveva fatto tabula rasa di certi concetti, per rispolverarli bisogna prendersi qualche rischio. Per recuperare l’antico tesoro di un Faraone, devi in qualche modo essere disposto ad affrontare dei pericoli. Il numero di errori in queste situazioni è inversamente proporzionale al tempo per lavorarci in allenamento.
Cinque minuti e la pressione del Napoli sporta Szczesny a buttar fuori un pallone. C’è chi ha avuto un orgasmo, e chi mente. Come nella scena di Harry ti presento Sally, con Meg Ryan che simula piacere estremo alle parole ‘Riaggressione’, ‘Uscita dal basso’, ‘Attacco dello spazio in sette uomini nella trequarti avversaria’, ‘Tagli dei terzini sul secondo palo’. Una goduria pura, “Quello che ha preso la signorina!”.
Sei punti che valgono più di sei punti. Nel golf lo Shank è quel momento psicologico che distrugge il giocatore, ti fa sbagliare anche le cose più elementari e rischia di rovinarti la carriera. Il Napoli s’era preso lo Shank da troppo tempo, poi qualcosa pare essere scattato nella testa. “Quel colpo era un momento di definizione e al momento della definizione o tu definisci il momento o è il momento che definisce te”. La squadra pare aver scelto la prima opzione, liberata dall’oppressione più di un piede femminile in tacco a spillo quindici ad un matrimonio. Il Napoli è tornato libero. Anche di sbagliare, ma liberaMENTE.
Sette a Osimhen, che alla fine nella meccanica sequenza causa-effetto è quello che ti fa vincere la partita. Il rigore lo sbaglia, ma è lui a conquistarselo, grazie alla capacità di infilarsi come acqua nello spazio, più di chiunque altro, prima di chiunque altro. I difensori della Juve gli tirano botte per tutta la gara, Victor se ne infischia più di Rhett Butler e va via trascinato dal vento e dalla sua incredibile tenuta atletica. Aggredire ogni volta il nuovo traguardo, pensando sempre di dover ripartire da zero. È la forza di chi non può contare su nessun appoggio, esclusa la propria volontà. Quella di Osimhen meriterebbe di diventare uno stato autonomo.
Otto a Raspadori e l’omaggio alla scena cult del Titanic. “Sto volando Jack” è la frase che ogni tifoso vorrebbe sussurrare all’orecchio di Giacomino, che s’avventa sul rigore respinto come un pensionato alla frase ‘Siamo aperti’ fuori dall’ufficio postale. Quel meraviglioso silenzio che precede l’esplosione di gioia a tinte tutte azzurre. Reattivo e cattivo, scaraventa sotto alla traversa tutte le paure del Napoli, e pure le sue che con Mazzarri era stato messo in soffitta a prendere polvere come un presepe in attesa del nuovo 8 dicembre. Raspa c’è, dopo il grande assist di Cagliari, un’altra giocata che porta punti. Il vizietto di far gol alla Vecchia Signora è roba da inserire ben in evidenza del curriculum.
Nove a Calzona, alla sua chiara manifestazione di volontà di recuperare linee di passaggio che s’erano smarrite. È l’eterno conflitto tra bello e concreto, tra il volto di Oscar Wilde e la sua rappresentazione su una tela. Ognuno fa la sua scelta, ma la strada presa dal Napoli 3.0 di questa stagione non può che essere considerata virtuosa: un calcio propositivo, l’affidarsi ad uomini di talento e prediligere la tecnica alla fisicità. Metabolizzare questo nuovo cambiamento di stato non è semplice, ma la reazione delle ultime gara dimostra che c’è sostanza oltre alla forma ed all’eleganza. “Se non cambiasse mai nulla, non ci sarebbero le farfalle”.
Dieci al padrone di casa. Kvaratskhelia lo ribadisce, a qualche imperdonabile distratto, dopo la girata che è un estratto della bellezza che può concepire il suo piede destro. Quando c’è una squadra che lo supporta, Kvara è questo qui. Un giocatore geniale, delizioso, incontenibile. Tanto bello, quanto efficace. Col Napoli che torna a riaggredire l’avversario, può giocare il pallone negli ultimi trenta metri. E negli ultimi trenta metri può sprigionare tutta la sua infinita classe, che pare di vedere Mennea allo sprint dopo la curva. “Eccolo ancora lì che corre, sgomita, sbuffa, rimonta, soffre, vince. E polemizza, litiga, si batte, si infiamma. E solleva sempre in aria quel dito, come dire al mondo, oggi sono io il Numero Uno, e non era arroganza. Era istinto: lui si sentiva (e lo fu) il piè veloce Achille”. Khvicha ha compiuto il miracolo, altri infedeli hanno visto la luce.
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