Guido Clemente di San Luca a TN "Squadra allo sbando, dichiarazioni di ADL disarmanti!"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni per Tuttonapoli sul delicato momento in casa Napoli.
Uno dovrebbe dire: pigliamoci una pausa, è Natale, mettiamoci l’animo in pace. E invece no. Per non lasciare che il capitone ci resti sullo stomaco qualcosa dobbiamo dire della sconfitta di Roma e della intervista di ADL al Corriere dello Sport che l’ha preceduta.
1) Su Roma-Napoli. Fare spietata autocritica è sano esercizio di onestà intellettuale. La squadra sembra piombata in una spirale di negatività. Tuttavia, riconoscere che il Napoli stia inguaiato non esclude affatto rilevare che Colombo abbia indirizzato la partita arbitrando molto male. Non tragga in inganno il numero di cartellini gialli dati ai giocatori della Roma. Perché, sul finire del primo tempo, avrebbe dovuto espellere Cristante per intervento imprudente su Mario Rui. Dobbiamo richiamare per l’ennesima volta il Regolamento, secondo cui «Imprudenza significa che il calciatore agisce con noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario e per questo deve essere ammonito». Imprudenza che c’era tutta nel fallo di Cristante, e che non c’era invece nelle due entrate di Osimhen: qualche dubbio forse sulla prima, ma certamente non nella seconda. Ho sentito dire che quelli sono falli di frustrazione. Ma la frustrazione non è contemplata dal Regolamento, è una espressione giornalistica. Seppure i due interventi siano stati dettati da frustrazione, ciò è del tutto irrilevante. Bisogna qualificarli in base alle previsioni normative. Essi, dunque, rientrano o nella imprudenza, o nella negligenza. Orbene, se questa, con le parole del Regolamento, «significa che il calciatore mostra una mancanza di attenzione o considerazione nell’effettuare un contrasto o che agisce senza precauzione», nel secondo fallo, Osi sicuramente manca «di attenzione o considerazione» e «agisce senza precauzione», ma non c’è «noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario». Noncuranza che invece ricorre palesemente nel fallo di Cristante su Mario Rui. Delle due l’una: o non conoscono il regolamento, o lo disapplicano fingendo di non conoscerlo. Continuano ad appellarsi al senso del gioco, o alla frustrazione ed amenità varie. Il vero punto dolente restano gli arbitri. Sono pressoché certo che i più siano del tutto a digiuno di diritto. Che non conoscano la differenza fra ‘accertamento del fatto’ e sua ‘qualificazione giuridica’. Continuano ad operare secondo l’arbitrio più puro, nascondendosi dietro la difesa del ‘senso del gioco’, di cui sarebbero i depositari esclusivi, così potendo giustificare qualsiasi illegittimità. Questo atteggiamento – che non tiene in alcun conto il rispetto delle regole – consente agli arbitri un arbitrio assoluto e incontrollabile.
2) E veniamo all’intervista. Credo sia definitivamente tramontata la favola del grande imprenditore, del modello di azienda da esportare quale prototipo di efficienza. Dopo la straordinaria vittoria del terzo scudetto sono stati evidenziati tutti i limiti dell’impresario sagace, dal fiuto non comune, dalla spiccata attitudine a far soldi. Lo stato penoso nel quale siamo precipitati è essenzialmente una sua responsabilità. È ormai acclarato che il vero problema stia proprio nel relazionarsi con lui, che incarna in via esclusiva il modello di azienda familiare. La inesorabile conseguenza è che ubi commoda, ibi incommoda. Con la vittoria s’era conquistata una sorta di immunità assoluta. Con lo sfascio che ha generato deve prendere atto (insieme ai suoi superficiali sostenitori) della sua crocefissione. Una quantità enorme di errori in serie – aver fatto scappare Spalletti, e poi Giuntoli e Sinatti; aver ingenerato in Thiago Motta la convinzione che dovesse guardarsi bene dal pensare di avvicinarsi; non aver provveduto per tempo a sostituire adeguatamente Kim; aver sostituito Lozano con Lindstrom, inadatto al ruolo; la scelta di Garcia; e così via –, tutti dovuti alla sua presunzione vanitosa e arrogante, alla sua scarsissima sensibilità umana e culturale, al suo mal intendere l’antropologia con cui ha a che fare.
3) Ne è conferma la posizione assunta dopo la sentenza europea sulla questione Superlega. Critica FIFA e UEFA, per così dire, ‘da destra’. Il male di queste, indiscutibile, si vince con lo Stato, non con più mercato. La prospettiva concorrenziale e ogni eventuale Superlega aggravano la mercantilizzazione del calcio e sanciscono la sua definitiva e irreversibile sottoposizione alla sola legge del profitto, svilendo il valore della competizione sportiva. Va nella medesima direzione l’idea della cd. Serie E-elite, che garantirebbe la partecipazione alle sole squadre delle grandi città, perché le piccole offrono ridotti bacini di utenza. Insomma, basta col pallone, lo sport più popolare. Via le romanticherie. Che sia solo e unicamente business. E invece no! Il grande popolo del pallone si va progressivamente disamorando proprio perché il re è stato definitivamente denudato. Non ne possiamo più dei potentati, che hanno dispregio per il rispetto delle regole. E le piegano ai loro interessi. Vogliamo più Stato (di diritto ovviamente) e meno mercato e concorrenza, che tutto soggiogano al vil danaro. È stato scritto molto efficacemente: «Uno che ama il pallone la Serie Elite se la sogna la notte, rallegrandosi al risveglio che era solo un incubo».
4) E veniamo alle dichiarazioni infelici, sgradevoli, che svelano ineleganza, povertà di spirito, grettezza umana. Anzitutto nei confronti di Garcia, che, pur con tutti i limiti manifestati, resta persona perbene. Una classica buffonata, quella frase, che avrebbe voluto licenziarlo nel giorno stesso della sua presentazione.
5) E poi a quelle sui rinnovi. Elmas è stato il dodicesimo della grande cavalcata. Indispensabile. Sarebbe bastato fargli capire che tale era. Ma queste son cose da Spalletti. Non parliamo di Zielinski. Il vero fuoriclasse, attaccato alla maglia azzurra: «del sole e del mare gli interessa fino a un certo punto. Forse è abituato maggiormente a certe nebbie». Come ha ben scritto Minervini, «certe sciocchezze, non si possono più sentire […]. Piotr è un ragazzo serio, e va trattato seriamente. Ha finito stremato, occhi al cielo, sul campo della Juve la sua lunga battaglia per portare il tricolore al Napoli. Ha rifiutato l’Arabia, si sarebbe aspettato di essere trattato dignitosamente. E invece è stata indegna l’offerta iniziale al ribasso». Come con Ciro/Dries. La riconoscenza è dei grandi uomini. Infine, Osimhen, che finalmente ha firmato il rinnovo, sì, ma tutti sappiamo che l’anno prossimo verrà venduto, e quindi non ci scalda il cuore.
E allora? Quali meriti bisogna riconoscere? Di tenere i conti in ordine? Certamente. Ma lo si potrebbe fare anche senza mortificare l’umanità che ti circonda. E soprattutto mantenendo consapevolezza della ragione sociale dell’azienda che si ha, la passione azzurra. Altrimenti si rischia di far la fine di quelli che si prodigano per ridurre il debito pubblico ad evitare che gravi sulle generazioni future, senza capire però che a queste si toglie la vita se si lascia morire il pianeta. Meglio morti senza debito, o vivi col debito?
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