Guido Clemente di San Luca a TN "Senso di onnipotenza di ADL ha originato processo di autodistruzione"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, fa il punto della situazione sul momento dei casa Napoli.
"Il grande imbarazzo che ha suscitato il preambolo da avanspettacolo del Presidente alla conferenza stampa di Mazzarri prima di Napoli-Verona – in buona sostanza, ampiamente confermato da quella di mercoledì – ha reso manifesta in via definitiva la scissione interiore, un po’ schizofrenica, di gran parte dei tifosi azzurri. Nonostante la distanza siderale da quasi tutte le (non sempre gradevoli) manifestazioni del proprietario, persistono senza soluzione di continuità sia la identificazione viscerale con la squadra (sentendo la maglia azzurra come la propria pelle), sia il palpitare all’unisono con essa, nel bene e nel male delle sue vicende. Quando segui la partita, tu pensi, non a chi sia, o a cosa faccia, il Presidente, ma solo ed esclusivamente che sta giocando il tuo Napoli (maledettamente risentendone l’umore e l’intestino). Malgrado l’enfasi celebrativa dei suoi meriti (poi dolorosamente sprofondata nell’odierno abisso), i tifosi azzurri hanno gioito per il terzo scudetto a prescindere da ADL. La sua persistente sensibilità, pressoché esclusiva, verso il far impresa, e cioè profitti (riconosciuta quale dote indubbia), condita con il conclamato delirio di onnipotenza, ha originato un processo di devastante autodistruzione, lasciando che l’esaltante vittoria travolgesse tutti in una sorta di orgiastico oblio estivo. D’altro canto, non di rado, il passo dall’uno all’altra è breve. Spesso, se non si riesce a controllare il proprio ‘superego’, dietro l’angolo c’è il serio rischio di precipitare nell’autolesionismo, perdendo di vista lo stesso personale interesse economico.
1. Il caso Zielinski. Non pochi ritengono che la responsabilità dell’attuale epilogo sia da distribuire equamente fra ambo le parti. In effetti, nella vita sovente è così. Ciò nondimeno, si devono sempre analizzare i fatti. Dai quali si evince che la scelta appare ingiustificabile sotto tutti e tre i profili: etico-comportamentale, tecnico-tattico ed economico-aziendale. È infondata sotto il primo aspetto, perché ha cominciato proprio ADL a venir meno su esso. È vero o no che in estate sarebbe stato facile (e giusto) rinnovare il contratto a Piotr senza riduzioni, avendo il polacco (fresco vincitore di scudetto) dato prova indiscutibile di amore per l’azzurro, rifiutando una valanga di quattrini arabi? Certo, l’agente è criticabile per la (secondo i moralisti, meschina) brama di far soldi (la stessa vocazione, peraltro, che il proprietario non cela esser attitudine fisiologica di ogni imprenditore). Il giocatore, però, non direi proprio. È persona non venale, generosa e perbene.
La scelta, poi, è infondata sul piano tecnico-tattico, perché, insieme a Kvara, Zielinski è il miglior giocatore della rosa, il solo capace di fluidificare la manovra, parlando coi piedi la stessa lingua di Lobotka e del georgiano. Visto che si deve ragionare solo sull’imminente doppio confronto col Barcellona, la giustificazione della ‘sperimentazione’ di Traorè non tiene. Allo stato attuale, nessuno è in grado di dare garanzie sulla capacità atletica di questi, e soprattutto sulla sua attitudine ad entrare subito nel gioco della squadra. Lo si può utilmente sperimentare in campionato. Se veramente Zielo non ci stesse con la testa, ci si sarebbe dovuti impegnare a recuperarlo psicologicamente. Rinunciarvi è un errore sesquipedale. Infine, la scelta è economicamente sbagliata, sia perché lo si paga comunque fino a giugno (come Demme, del resto), sia perché il passaggio del turno è decisivo per il futuro aziendale. Se si fossero volute mantenere più cospicue chances di successo, non ci si sarebbe dovuti presentare alla sfida contro il Barča con soli 4 centrocampisti (Lobotka, Anguissa, Cajuste e Traorè), uno dei quali rappresenta certamente una scommessa azzardata.
Ma allora perché? Beh, in definitiva, c’è solo una spiegazione plausibile. In via del tutto prioritaria, la scelta è stata dettata da umorale voglia di ripicca, da irrefrenabile desiderio vendicativo (di fatto l’ha affermato lui stesso, esprimendo apertamente livore verso il suo procuratore). Insomma, un’irritazione tanto insopportabile da accecare, generando masochismo. Qualcuno sostiene che la tesi non regge, giacché non considera – come lo stesso Presidente ha sottolineato – la virtuosità del Napoli rispetto alla situazione debitoria delle società di mezza serie A (che nemmeno potrebbero iscriversi al campionato). È argomento solido. Ma sottovaluta l’assoluta incontrollabilità del delirio di onnipotenza di ADL. Fino al cupio dissolvi cui, purtroppo, assistiamo da maggio.
Basterebbe interrogarsi sul perché molti sono andati (o vogliono andar) via, senza sorrisi, a dispetto della retorica sul contesto più bello del mondo. Del resto, ove così non fosse, il proprietario – sebbene sappia perfettamente di avere in ballo decine di milioni – non avrebbe, in pochi mesi, lasciato che si distruggesse un’opera straordinaria. L’atteggiamento continua ad essere quello per cui «il giocattolo è mio e ne faccio quel che voglio». La trionfale scorsa stagione ha inibito per un po’ la lucidità di analisi sulla gestione di un bene che è (non semplicemente un’azienda, bensì) patrimonio collettivo di milioni di tifosi azzurri, oggi, ahimè, inopinatamente sospinti verso il disamore.
2. La partita col Verona. Dallo score della gara, dai freddi numeri [Tiri totali 19-12. Tiri in porta 8-2. Possesso palla 69%-31%. Passaggi 599-262. Precisione nei passaggi 86%-71%. Calci d’angolo 9-2], proprio non si spiega l’invocazione del «velo pietoso» da stendere sul gioco di Mazzarri. Come avevo pronosticato, Walterone è tornato al 4-3-3 (e, alla bisogna, continuerà a farlo; sono convinto, per esempio, che a Milano tornerà alla difesa a tre, e farà bene). Montipò è stato forse il migliore in campo. Sorvolando – seppur non si dovrebbe – sul rigore non dato a Kvara, per l’ormai consueta illegittima omissione del VAR (Di Bello). Rigore inopinabile. Senza contare che, ancora una volta, commettiamo meno falli (11-14) e becchiamo più ammoniti (3-2).
In ogni caso, alcuni opinano che il palleggio sarebbe «sterile». Io però domanderei: non era il credo di Spalletti (e non di lui soltanto) quello secondo cui «tenere la palla è la migliore strada per evitare di subire gli avversari»? Quel palleggio sembra inutile. Invece serve. Per attaccare le squadre che si chiudono difendendo in 10. Se dopo un po’, è ovvio, i giocatori non riescono ad inserirsi e a dare profondità, devi trovare soluzioni alternative. E il mister questo ha fatto, prendendosi dei rischi. Perché, inserendo Lindstrom e Ngonge, è passato al 4-2-3-1. Ma siamo andati in sofferenza. E, passati dieci minuti, abbiamo pure beccato un gollonzo. La squadra tuttavia ha reagito. Il mister ha invertito Kvara e Lindstrom e i ragazzi sono tornati a ‘penetrare’. La verità è che oggi non v’è, non può esserci, solo un modulo congeniale alla rosa. La squadra deve assumere il giusto atteggiamento camaleontico. Obiettivamente, col cambio ci siamo squilibrati. Talvolta è necessario. Non sempre.
3. Verso Milan-Napoli. Per me, infatti, a Milano non possiamo schierarci col 4-2-3-1. C’è Leao da tamponare. Tanto, ove se ne determinasse la necessità, vi si potrebbe sempre far ricorso. Perché non è vero che il Napoli dietro non può più giocare a 4. Ha gli uomini per farlo. Zielinski è nella lista Serie A. Al suo posto, d’altronde, possono alternarsi Lindstrom e Traorè. Dall’altra parte, Anguissa e Cajuste. A San Siro partirei con il 3-5-2. Con Ostigard, Rrahmani e Juan Jesus, dietro; Di Lorenzo e Mazzocchi ai lati; Anguissa, Lobotka e Zielinski, in mezzo; e Kvara col Cholito davanti. In questo modo, tenendo Lobo e Zambo al centro, con Di Lorenzo e Mazzocchi sulle fasce, in fase d’attacco potremmo lasciare che, dietro Simeone, Piotr affianchi Kvara. In corso gara, se vuoi sperimentare, dai spazio a Traoré (che, laddove recuperi, è fortissimo). Altrimenti inserisci Politano, Lindstrom, Ngonge o Raspa. La «strada della qualità». Che mai deve deviare quella della saggezza".
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