Clemente di San Luca a TN: "Quanta ipocrisia, quanta scarsa coerenza"

Clemente di San Luca a TN: "Quanta ipocrisia, quanta scarsa coerenza"
Oggi alle 10:20Esclusive
di Fabio Tarantino

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli.

"È quando succedono cose come questa che torni a toccare con mano la profondità della contraddizione che ci vede – tutti noi tifosi appassionati – riaprire gli occhi e riprendere a pensare ai sentimenti. Nonostante la triste inesorabilità della deriva mercantile cui dobbiamo soggiacere, continuiamo ad affezionarci, a sentire i giocatori quali rappresentanti della nostra fede, della nostra identità, della nostra terra. E a Napoli (più che altrove) pure della nostra antropologia. Osimhen e Kvaratskhelia sono, e resteranno per sempre, artefici decisivi e simboli del terzo scudetto azzurro. A tutti quelli che adesso – in una certa prospettiva, anche non infondatamente – vomitano veleno su Khvicha (dopo averlo fatto pochi mesi fa su Osi), vorrei chiedere sommessamente di riflettere: in nome di che lo fate? Della difesa dei nostri colori, della nostra identità, della nostra antropologia? Bene. Ma allora perché – quelli di voi che lo fanno – inneggiate così acriticamente al condottiero juventino? Con quale coerenza? Se la giustificazione che vi date è il professionismo, la prevalente e assorbente logica del mercato, perché mai ciò non dovrebbe valere anche per il georgiano o il nigeriano? Un fatto è sicuro. Anche se dissimulata, nell’aria si avverte tanta amarezza. Ma il dispiacere non è uguale per tutti. Per ADL è pari a quello di un qualsiasi affare andato, forse, non proprio perfettamente come voleva (e chissà, magari è vero il contrario). Certo è che questa è l’ennesima conseguenza – com’è stato ben scritto – della «sciagurata gestione del post scudetto: far sentire Kvara un giocatore normale è stato un progetto perdente in partenza», perché «Khvicha andava lusingato dopo il titolo, non un anno e mezzo dopo e dopo aver accontentato altri». Per Conte – l’ha dichiarato lui stesso esplicitamente – il dispiacere si traduce soltanto nell’aver dovuto registrare con sconforto un fallimento, nell’aver dovuto patire un insuccesso professionale. Non è riuscito a convincerlo del progetto: «ho parlato di delusione, non nei confronti del giocatore o del club. Delusione mia perché non sono riuscito a incidere in questi sei mesi affinché qualcosa cambiasse. Non è che Kvara mi ha deluso o il club mi ha deluso. Io non addosso responsabilità agli altri, me le prendo sempre io. Pensavo di poter incidere in maniera diversa in questi sei mesi; invece, mi sono accorto che eravamo punto e a capo». La delusione di Conte e di ADL non è assimilabile a quella dei tifosi. Il dispiacere vero, profondo, è per noi. Perché, caro Khvicha, ancora una volta ci siamo illusi che tu – come Victor – avessi capito cosa significhi l’amore di Napoli, rappresentarla, battersi per l’azzurro del nostro mare, del nostro cielo. Noi che abbiamo incespicato per imparare a pronunciare il tuo nome, ma poi l’abbiamo fatto diventare quasi di famiglia. Noi che ci siamo persi, sognanti, dietro le tue finte, qualcuno spingendosi fino alla blasfemia («Kvaradona» nun se putev’ proprio senti’!). Noi siamo tristi per questo. Non ti consideriamo come uno che, su commissione, ha soltanto eseguito ad arte «un bel cassettone». Non pensiamo che ci hai tradito, che ci hai mancato di rispetto. Né pretendiamo che tu ci spieghi perché. Per una ragione molto semplice. Che non abbiamo alternative. O smettiamo la passione, seppellendo l’amore folle per quel colore. Oppure siamo costretti a un compromesso terribile, che impone di doverci rassegnare alle dinamiche di questo mondo asservito pressoché in toto alla logica cinica e spietata dettata dal dominio esclusivo del danaro. Quella stessa logica che implica di accettare di essere oggi guidati da chi – non diversamente da te e Osi – nulla ha a che vedere con la nostra passione, la nostra storia, la nostra cultura. Perché è, come voi, «un professionista che viene pagato per il lavoro che fa». A meno che, sabato 25 alle 18, non colga l’occasione per sorprenderci, per farci ricredere. Allora sì che potremmo rinvenire una differenza fra lui e Khvicha, e prendere ad invocare il suo nome pensandolo degno di stare accanto a quelli di Marek, di Josè Maria, di Ciro/Dries, di Piotr e così via (Lui, naturalmente, è fuori discussione). Diversamente, dovremo malinconicamente registrare che ormai tutto, ma proprio tutto, è dominato dal mercato e dalle sue leggi senza amore. Questo, dunque, il sentimento degli ultimi giorni. La tristezza. Ma c’è pure una speranza. Che deriva da una commozione genuina. Veniva da piangere, infatti, domenica sera nel vedere, a fine gara, gli abbracci dei giocatori alla mamma del piccolo Daniele, Anguissa che fatica a trattenere le lacrime, prima dedicandogli il gol e poi nell’intervista post-partita. Sembra che quel bambino pazzo di azzurro, la sua purezza, costituiscano adesso una fonte inesauribile di potenza per tutti. Almeno questo sentimento non può essere guastato!

P.S. a) Va bene Garnacho, ma Ndoye non è più forte di Ngonge. E poi, Ismajli e Skriniar sono assai meglio di Danilo. b) Il commento di Marelli sull’intervento di Bastoni ai danni di Odgaard sarebbe da bocciatura all’esame di «Giuridicità delle regole del calcio». Che tocchi prima la palla è, sotto il profilo tecnico-giuridico, del tutto ininfluente: si tratta, indiscutibilmente, almeno di «negligenza» («mancanza di attenzione o considerazione nell’effettuare un contrasto», ovvero agire «senza precauzione»), ma – a ben vedere – addirittura di «imprudenza» (perché c’è senz’altro «noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario»).