Da Zero A Dieci: gli effetti disastrosi del mercato, i milioni nella testa di Allan, i tormenti di Insigne e l'inutile discussione sul modulo
(di Arturo Minervini) - Zero ad una squadra che non sembra il Napoli. Come guardarsi allo specchio e non riconoscersi più. Mettersi le mani in faccia e tastare un viso che non ti appartiene. È un Napoli spiazzante quello che va in scena a San Siro, Fantasma in un Opera che ha suono lugubre di una campana che annuncia una serata da dimenticare. Responsabilità di molti, passo indietro di troppi ed una confusione tattica che è difficile da spiegare e da accettare. Si torna a casa con tante ferite da leccare e qualche situazione che merita di essere affrontata di petto, perché troppi spifferi sono stati sottovalutati. Questo non è il nostro Napoli. Questa è una squadra che guardiamo e non riconosciamo.
Uno l’obiettivo che resta da inseguire. Con la Juve scappata a +11 e l’Inter a debita distanza, l’Europa League rappresenta ora quel Godot che da troppo tempo stiamo aspettando. Spetterà ad Ancelotti scrivere un finale diverso da quello voluto da Samuel Beckett altrimenti ci ritroveremo su una panchina a pronunciare amare parole del tipo: “Non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile!”. Dateci il nostro Godot, dateci una Coppa da alzare al cielo che manca da troppo tempo.
Due reti che nascono da due letali disattenzioni di Maksimovic, lo stesso che tanto bene aveva fatto in Champions nello slot di terzino destro camuffato. Questione di automatismi, gli stessi che con Sarri lo avevano rilegato ai margini della storia. Gli stessi che hanno scricchiolato nella testa di Nikola a San Siro, disastri che macchiano in maniera indelebile una stagione che a Milano ha vissuto uno snodo fondamentale. Perché alla fine il calcio è fatto di tante partite, ma poi ci sono partite che sono diverse dalle altre. E se non sei pronto per giocarle, qualche domanda devi iniziare anche a portela.
Tre mesi. Dal 4 novembre Insigne ha un rapporto complicato con il gol, conflittuale al punto di perdere anche i più banali riferimenti. Come uno studente che si ripromette di aprire i libri, per poi rimandare sistematicamente. Come quello studente a venir meno è la voglia, l’ardore, la curiosità di fare un passo in più per capire, conoscere. Investigare nuove strade del proprio gioco, senza ripetere in maniera svogliata la solita cantilena che non sta portando risultati. Il reale problema, però, è quella faccia. L’espressione su quella faccia, che racconta di un momento complicato. La cattiveria che manca nelle giocate, un appiattimento che non è accettabile da chi sembrava voler diventare il leader di questo gruppo. Non è più quel tempo Lorenzo, il tempo delle scuse, degli alibi, delle giustificazioni. Ora è il tempo di mettere sul tavolo tutto quello che si ha dentro, di scoprire le carte. E capire chi ha la mano migliore.
Quattro giorni per riprendersi, per chiedere al campo di fugare ora i dubbi che nemmeno l’Amleto di Shakespeare. Cosa è accaduto in due partite? Come si è potuti passare dal meraviglioso Napoli visto con la Lazio a quello insipido e svuotato dei due atti milanesi? Dove sta la verità? Che verità racconteremo alla fine di questa stagione? Quanto lavoro ancora manca per vedere questa rivoluzione completata? Ancelotti dovrà rispondere a questi interrogativi prendendo una strada chiara, palesando quelle che sono le sue idee. Giusto sperimentare, ma arriva il momento di raccogliere i risultati della ricerca. Altrimenti non si chiama più ricerca, ma confusione.
Cinque gare senza fare gol a San Siro. Due volte nello scorso campionato, tre volte quest’anno con la parentesi anche in Coppa Italia. Contro le milanesi c’è un sortilegio che non si riesce a spezzare, una maledizione che si è abbattuta contro gli attaccanti azzurri. Nel film ‘Miracolo a Milano’ c’è una frase cult: “Vuoi la luna? Ti ricordi quando volevi la luna?”. Ecco cosa manca: la volontà di raggiungere l’unica destinazione che dovrebbe essere l’ossessione di una punta: la rete.
Sei a Ounas che entra ed ha il merito di provarci. Con tutti i suoi difetti, con tutte quelle distrazioni tipiche del so gioco. Ma Adam ci ha provato, cavolo. Ha battagliato anche per una rimessa laterale, si è preso le responsabilità che tutti i big si sono fatti scivolare addosso come non fosse loro pertinenza, impiegati comunali che indicano in altri la competenza per consegnare un semplice documento. Ogni minuto giocato da Ounas con quella cattiveria rappresenta un atto d’accusa inconsapevole verso tutti gli altri, che hanno assistito immobili allo scempio.
Sette milioni, quattordici o anche ventuno. Inutile blaterare sulle cifre, sui rimpianti, sulle occasioni mancate. Allan non è andato al Psg perché il Psg non ha esaudito le richieste del Napoli, la società a cui Allan deve tutto. I tifosi a cui Allan deve tutto: la nazionale, le offerte faraoniche, la ribalta internazionale. È sempre stato uno scambio equo, perché il mediano ha sempre buttato il cuore oltre l’ostacolo, consumando tutto se stesso per la causa azzurra. Perché bisogna tornare a casa, quando è il momento e non solo con il corpo. Perché esiste il rispetto, la riconoscenza, la gratitudine. Che vanno omaggiate, fino a che non verrà il tempo di salutarsi. Torna a casa guerriero. Torna a lottare come hai sempre fatto. “Il rimpianto è un enorme spreco d’energia. Non vi si può costruire nulla sopra. Serve soltanto a sguazzarvi dentro”.
Otto alla capacità di Ancelotti di gestire momenti come questi. Perché li ha già vissuti, perché li ha già superati alla grande. Opportuno provare a normalizzare il tutto, rendere i toni meno esasperati. Sarebbe la strada più semplice, prendere il foglio dove si stava scrivendo un nuovo racconto ed appallottolarlo, trasformandolo in carta straccia. C’è invece da prendere il buono e proseguire in quella direzione, correggendo il tiro, cercando di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato per questo Napoli. Sia sul piano tattico, che sul piano tecnico ed umano. Una squadra di calcio è un po’ come la chimica, quindi come direbbe Walter White: “La chimica è lo studio delle sostanze, ma io preferisco vederla come lo studio dei cambiamenti. Elementi... si combinano e cambiano in composti. Be', questa... questa è la vita, giusto?…”. Carlo, a te il compito di trovare le giuste combinazioni.
Nove a questo mercato che sta per finire. Troppe chiacchiere, troppe distrazioni, troppe questioni irrisolte che ora andranno affrontate con piglio deciso. Cosa fa Marek? Cosa fa Josè? E Dries? Cosa era quel Mertens entrato in campo a San Siro? Che senso ha vederlo giocare così, trascinato dal vento come una bandiera che non sceglie da che parte stare. Possibile che siano tutti fuori forma o c’è qualcos’altro che distrae? La questione dei rinnovi è seria, pendente come una spada di Damocle sulla testa e sul futuro di una squadra che deve ripartire dalle certezze. Se qualcuno ha qualche problema, però, deve farsi avanti. Metterci la faccia. Perché vedere un Ciro così emarginato è qualcosa che ferisce. Il cuore e l’intelligenza.
Dieci punte non sono sinonimo di squadra offensiva. Come nel finale di un racconto di Esopo, la morale della doppia favola (da incubo) milanese è proprio questa: è il sistema a rendere una squadra pericolosa, il modo in cui un modulo viene interpretato. Anche un 5-4-1 fatto bene può essere più letale di un 4-2-4 se i reparti sono ben distanti, se le linee si muovono insieme, se il lavoro in fase di non possesso coinvolge tutti. In questo momento l’ultimo problema del Napoli è il modulo, passatempo divertente per gli amanti dei numeri. La sconfitta di Milano non è figlia dei numeri, perché i numeri non corrono, non lottano, non sudano. I numeri restano numeri se non ci metti altro. Cose che nascono dal petto, dalla testa, dal calore del sangue che va in ebollizione quando si lotta per uno scopo. Se si perde questo, si perde tutto. Si perde sempre.
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