Da 0 a 10: Spalletti si è rotto i cogl**ni, il blitz di ADL nello spogliatoio, Kim alla Merola e la balla su Kvara di Juric
Zero le volte in cui il pensiero è andato a Osimhen. Non perchè Victor non sia un giocatore spaziale, ma questo Napoli ha così tante alternative che ci eravamo intrufolati nel ballottaggio Raspadori-Simeone che c’eravamo pure dimenticati che ci sarebbe fuori il titolare. Spalletti ha a disposizione più soluzioni che MacGyver nel suo coltellino, che consentiva di costruire con una gomma da masticare la bomba atomica.
Uno il gol preso da Meret, col pallone calciato da Sanabria che sbuca come una smart all’imbocco del corso Malta. Vai dritto Alex e fai come Tommaso Paradiso e il pompiere: Non avere paura.
Due possibilità e Spalletti che sbotta: “Questo giochino di chi gioca titolare è per rompere i cogl**ni all’allenatore”. Luciano insiste sulla questione: sono tutti titolari, sono tutti uguali, dormo sereno e tranquillo. È una camomilla per le inquietudini di chi si tende ai margini, un’infusione in acqua termale per rilassare i nervi di chi (Lozano, ad esempio) sta trovando meno spazio rispetto alle attese. Arguto Spallettone, che ci mette la faccia e le parole forti.
Tre gol in 37 minuti per tagliare la testa al Toro. Poi il Napoli gestisce, ma non si perde. Rallenta, ma non perde di vista lo striscione finale. Fa il pellegrino che va verso Santiago, con lo zaino pieno di ricordi e di lezioni che non ha più intenzione di ignorare. Mostra la personalità per gestire, vestirsi da formica dopo aver mostrato lo splendore del canto cicala. Due anime per un solo corpo: quello di una squadra che vuol diventare vincente.
Quattro a Juric, presuntuoso e frettoloso nell’analisi di una gara che, ma non lo dice di certo, il Torino perde principalmente per le sue scelte. Si affida al solito uomo contro uomo, che Spalletti smonta in quattro mosse con dei semplici ed efficaci ‘dai e vai’ modello cestistico. Pare pure esaltarsi perchè è riuscito a concedere a Kvaratskhelia un solo gol: come esultare a Las Vegas per essere entrato con un milioni in tasca ed aver perso solo 999mila euro. Contento tu, Ivan. Terribile.
Cinque minuti e Mario Rui, a differenza di Paganini, si ripete. A San Siro per Simeone, al Maradona per Anguissa: la qualità del mancino del portoghese è l’Archè dei pensieri più belli che passano per la testa degli azzurri. Già tre assist in campionato ed una capacità di ribaltare i pronostici che farebbe arrossire Stevan Bradbury. Anche quest’anno, riserva l’anno prossimo.
Sei di fila tra Serie A e Champions. Il pari col Lecce sembrava la ruga di un passato che tornava e, invece, il Napoli ha saputo trasformare quella delusione in propellente. Con quindici reti segnate in questo filetto ed una varietà di ingredienti utilizzati per la ricetta finale da candidarsi a vincere una prova di Masterchef. Come a Rino Gaetano piaceva il Sud, a noi piace il Sud e questo Napoli: “Poi mi piace scoprire lontano, il mare se il cielo è all’imbrunire. Seguire la luce di alcune lampare… E raggiunta la spiaggia mi piace dormire”. Si fanno dolci sogni.
Sette a Kim-Salabim, che come Silvan ti ti prestidigita pure l’aria e fa scomparire il pallone, che quando l’attaccante lo rivede è già troppo tardi. Gestisce tutte le situazioni, anche quelle imprevedibili, con la serenità di Mario Merola al Festival di Sanremo dinanzi a Bono Vox degli U2. È leggendario per il suo adempiere all’impresa più eccezionale di ogni esistenza: essere normale.
Otto di campionato ed un primato che è logica conseguenza di quanto fatto. Il Napoli è la squadra che è sembrata più bella, ma questa volta ha accompagnato all’estetica una sensazione differente, probabilmente nuova, ricercata da tempo. Ha dosato gli elementi in base all’esigenza, trovando sempre i giusti argomenti da contrapporre a quel demonio chiamato imprevisto. Questa squadra conosce le parole giuste per affrontare ogni argomento e “Ci sono parole come le conchiglie, semplici ma con il mare intero dentro”. De Laurentiis riassume tutto con la parola pronunciata nel blitz a fine gara negli spogliatoi: "Bravi".
Nove ad Allen Iverson con la maglia 77. Entra con la motocicletta in area di rigore e manda tutti fuori giri, con una capacità di restare sospeso, di appendersi al tempo, che in Nba chiamano ‘Hang Time’: il tempo in cui si resta in volo dopo un salto. In quel tempo, gli artisti disegnano idee astratte che si fanno realtà, magie precluse ai comuni mortali. Kvara appartiene a quella categoria: mentre veniva molestato sessualmente dal difensore trova la lucidità di infilare la palla nell’unico spazio possibile. Kvaratskhelia è un sospiro, più lungo degli altri. È quella sensazione che provi, quando pensi all’amore. Che è diverso, da ogni altro respiro.
Dieci ad Anguissa, nuovo protagonista di Stranger Things. Domina al Maradona e nel Sottosopra dove proietta tutti i peggiori incubi del Torino. È onestamente inspiegabile come lo stesso calciatore, con quel fisico, possa prima incornare di testa alla Osimhen e poi andare in fuga alla Kvaratskhelia per 50 metri e fare doppietta. Nemmeno Giulio Cesare aveva conquistato così tante terre in appena 90’: dominatore indiscusso. E non è la prima volta. Sulla carta d’identità, alla voce ‘Segni particolari’, aggiungete pure senza timore di smentita: “Miglior mediano della Serie A”.
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