Da 0 a 10: la truffa dei 16 in campo, il messaggio agli assenti di Spalletti, Ounas che apre i telegiornali e il regista occulto
Zero, ma solo per fare il pignolo come Giovanni in ‘Tre uomini e una gamba’, ai primi dieci minuti del Napoli. Serve il gol di Emreli a scuotere gli azzurri da un avvio sonnolento, ma il risveglio è di quelli che recuperi tutto il tempo perso e ti dimentichi di quella piccola sbavatura. Dopo una prestazione del genere, trovare il pelo nell’uomo è fuori luogo, come i commessi nei centri commerciali che a qualsiasi domanda rispondono ‘questo non è il mio reparto’.
Uno il gol preso, che nemmeno ce lo ricordavamo che effetto facesse dopo l’infinita imbattibilità in campionato. È una lezione sulla vita, sulla nostra incapacità di apprezzare certi momenti. Quando siamo felici, facciamoci caso. Quando non prendiamo gol, ricordiamo di dare il giusto valore all’impresa.
Due situazioni che esaltano il corpo e lo spirito. Petagnone usa fisico e cuore, centimetri e altruismo e immola tutto per il bene comune. Decisivo con la sponda che porta al rigore del 1-1, immensamente funzionale con l’assist a Lozano che asfalta ogni luogo comune sull’egoismo del centravanti. Ha sempre le mani sporche Andrea, si getta in mezzo al fango ed in ogni contesa si schiera al fianco dei compagni. Si chiama collante: è quello che permette ad un blocco di tufo di divenire parte di una struttura inespugnabile.
Tre punti, ancora tre punti. Che non sono solo un numero, sono un’idea, anzi l’idea per eccellenza. Quella di rifiutare la sconfitta, generare una reazione allergica al pensiero di dover cedere il passo all’avversario. Che sia campionato o coppa o le scale del condominio: a questo Napoli non piace arrivare dopo gli altri.
Quattro mani come Ganesha. Arriva dappertutto Anguissa, anche quando sembra essere in svantaggio. Arpiona ogni cosa si aggiri nella sua zona di competenza, che tra l’altro non ha limiti. Le quattro braccia della divinità induista rappresentano: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata. Frank copre l’etere come le antenne di Radio Maria: non c’è angolo del mondo in cui non riesca a raggiungerti. Come dominare una gara senza nemmeno entrare nell’inquadratura principale. Il regista occulto di tante vittorie stagionali.
Cinque cambi come fili tra le mani di Mangiafuoco Spalletti. È Luciano il grande burattinaio delle rappresentazioni azzurre, colui che tutto move con la sapienza di chi è riuscito a scavare nel petto dei suoi ragazzi, a gettarsi nelle viscere dell’inconscio, lì dove la volontà decide cosa vuoi essere e chi vuoi diventare. Attinge a talento, istinto, freschezza a piene mani da quella panchina che con questa gestione non è più una punizione, ma solo anticamera verso la gloria. È in atto una truffa: questa squadra gioca spesso in 16.
Sei che tende al sette, come una condizione che cresce. Lozano abbassa la testa, si allunga la palla e spesso non lo prendi. Era una scena già vista, che volevamo rivedere. Segna pure un gol Hirving, variabile impazzita nella linearità del calcio moderno. Strappi che sono necessari per aggiungere imprevedibilità alla manovra, diversità che arricchisce un prodotto che ha ambizioni di perfezione. Sta tornando quello dello scorso anno e per gli avversari è una pessima notizia.
Sette a Pietro profeta in patria. Stampa la rabbia sulla traversa, si piazza al centro del gioco e smista con lucidità tanti palloni. Bastano gli occhi a capire che è scattata una scintilla, c’è uno sguardo nuovo dopo la rete decisiva di Salerno, una determinazione ritrovata dopo lo smarrimento iniziale. Quando Zielinski si ricorda di essere Zielinski e attiva le ruote motrici che ha al posto delle gambe, allora sì, che il Napoli può sognare qualsiasi tipo di traguardo.
Otto a Ounas, con un gol che è una delizia per l’anima. C’è da trattenere il fiato, come una lunga apnea, in quel sinistro che addomestica il pallone, lo fa suo amico. Si accomoda accanto all’imprevedibilità della sfera e ne possiede tutti i segreti, mentre con lo sguardo accompagna la traiettoria che si fa beffa per il difensore senza perdersi nella contemplazione della bellezza. Completa l’opera ed è questa la grande svolta rispetto al passato. Estetica ed efficacia in due piedi che parlano la lingua universale del pallone. Una bomba ad orologeria tra le mani di Luciano. Stanno già aprendo i telegiornali con le immagini di quel gol, vero? Ditemi di sì! Ah, NO?
Nove al tuffo al cuore. Come una pala, che va giù in profondità al centro del petto. Non c’è paura, c’è la sfacciataggine coltivata nei vicoli nello scavetto di Ciro per Ciro, la dedica tanto attesa che ha il gusto della liberazione. Ciro paura non ne ha e vestito di rosso, come un pompiere, spegne quelle voci maligne di chi con troppa fretta voleva archiviare una meravigliosa storia d’amore. Che ha ancora qualcosa da dire, parole da sussurrarsi all’orecchio. Un sentimento che vive, che lotta, che resiste. Nessuno può mettere Dries in un angolo.
Dieci al gigantesco Spalletti, in campo e fuori. C’è un trattato di psicologia nelle parole del mister a fine gara, un messaggio chiaro a tutti quelli che potrebbero mai pensare di essere più importanti del Napoli: “Questa è una rosa fatta per giocare insieme, sono tutti adatti per giocare tutti insieme. Non al posto del compagno, ma al fianco del compagno”. A fianco è un posto meraviglioso per conoscersi, per condividere un pensiero, per difendere ogni debolezza altrui che va sentita come propria. Fino a questo momento della stagione Luciano è come tua madre che cerca cose in casa che tu non troveresti nemmeno in mille anni: sa sempre dove mettere le mani. Ha sempre ragione.
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