Da 0 a 10: la scena che spacca il cuore, Meret in gol come Provedel, il nuovo acquisto palindromo e Sasà Elmas Aronica
Zero a questa fragilità dell’animo, che non riguarda solo la tattica. Coinvolge tutti i sensi di una squadra che non conosceva la paura e che oggi ci convive. Garcia nell’ultima mezz’ora serra le truppe, perchè dire che fa catenaccio pare brutto. Si dissolvono gli uomini forti, i destini forti e la volontà di determinare ciò che sarà, affidandosi al fato per un tiro deviato che ti regala la vittoria. Vincere era importante, ma vincendo così non farai molta strada
Uno a zero al 94': il Real Madrid soffre le proverbiali sette camicie per vincere le germaniche resistenze dell’Union Berlino. Fosse stato il Napoli dello scorso anno ci sarebbe dispiaciuto in ottica primo posto, analizzando il momento non può che essere una buona notizia in ottica qualificazione. Di necessità virtù.
Due centrali dopo l’infortunio di Rrahmani: Juan Jesus e Ostigard. Parliamoci chiaro: Houston, abbiamo un problema. Che se non ci fosse lo scudetto sul petto, non crederesti mai di giocarti la Champions con due buone alternative. Il peccato originale, la mela che cade dall’albero sulla testa di Newton e ci rivela una legge universale: non puoi sostituire una fuoriserie (Kim) con un mezzo di trasporto di cui non si conosce la resa (Natan) e pensare di arrivare puntuale agli appuntamenti.
Tre punti, che se non ci si tuffa dentro per comprenderne la genesi sono la cosa più bella del mondo. L’auspicio è che abbiano l’effetto di uno elettroshock, perchè Garcia ha le sue colpe (tante) ma c’è qualcuno che in queste colpe sta trovando riparo, quando dovrebbero invece venire fuori e provare a colmare la distanza. “Vincere in trasferta in Champions non è mai facile” dice Rudi, mentre a noi scende una lacrima ripensando che lo scorso anno il Liverpool veniva umiliato al Maradona da un Napoli bello da impazzire.
Quattro difensori, nessun anticipo e zero aggressione. Il Napoli soffre le folate del Braga, pare di vedere l’inizio del film ‘Senti chi parla’ in cui alla fine c’è sempre uno che riesce a infilarsi dove non dovrebbe. Non c’è mai, davvero mai, la sensazione di sentirsi al sicuro, ogni pallone lanciato senza criterio nell’aria azzurra può trasformarsi in un’idea geniale per il cattivo posizionamento della difesa. “Ricorda chi eravamo” fu l’ultima frase di Re Leonida all’esercito Spartano. Una frase che oggi ci manda in depressione più della pioggia.
Cinque minuti e una manciata di secondi per il difensore palindromo. Abbiamo visto Natan, che dovrà dimostrare di essere versatile come il suo cognome. Per il momento un esordio con la chiara missione di distruggere tutto ciò che gravitava nei paraggi, badando poco alla forma e molto alla sostanza. Il Napoli ha un bisogno disperato di lui, di trovare conferme nel grande azzardo di questa sessione di mercato. A fine gara Meret lo cinge in un abbraccio che vale come un gol, stile Provedel. Affidiamoci a Rino Gaetano, sperando che a ‘Mano a Mano’ il ragazzo possa smentire ogni scetticismo: “Ma dammi la mano e torna vicino può nascere un fiore nel nostro giardino che neanche l'inverno potrà mai gelare”
Sei in difesa, a tratti anche di più per difendere lo striminzito 1-0. Come Alex di Arancia Meccanica siamo costretti a osservare scene agghiaccianti, che ti spezzano il cuore e ti riportano in un mondo distopico. Elmas a fare il terzino alla Sasà Aronica, Lobotka ch’era una delizia del pallone costretto ad arrabattarsi nel ruolo del mediano tutto grinta e poco fosforo, lui, scienziato del gioco confinato nella gabbia dell'ordinaria amministrazione. Ci sono stati venti minuti di Braga-Napoli che c’hanno inseguito nella notte, come fossero l’incubo che ti prende nelle ore più buie.
Sette alla reazione, quasi istintiva, come una lucertola a cui tagli la coda. Dopo il pari di Bruma il Napoli ha il merito di non lasciarsi andare come Michele Zarrillo, affidandosi ad una reazione che seppur confusa lo premia per l’audacia. Perchè non servono calcoli di fisica quantistica per capire che se stai in area avversaria possono accadere cose belle, se lasci sessanta metri di campo all’avversario finisci nel cacciarti in brutti guai. Rudi fai come Capitan Uncino: Muovi il bacino.
Otto tiri nel primo tempo, che poteva tranquillamente finire con tre gol. Questa distanza kafkiana tra un tempo e l’altro, ancora una volta, col sapore della metamorfosi che non riesci a spiegare. L’avvio è incoraggiante, Osimhen giganteggia e rischia di trasformare in oro tutto ciò che transita nei pressi dell’area ma la sorte non lo assiste. Ci sono ritagli, frammenti, pezzettini di vecchie foto di noi, della nostra forza, che ogni tanto si ricompongono tra le mani. Non è nostalgia: è passato che deve ritornare presente. Garcia si concentri su quelle vecchie foto, perchè il potenziale di questo Napoli non può essere mortificato dalle sue paure. Il sospiro di sollievo in stile D’Alema, è lo specchio del suo momento delicato.
Nove-zero: i 90 minuti di Anguissa avrebbero fatto uscire di testa pure un missionario africano. Irritante, irriconoscibile, indisponente e tutti i milioni di aggettivi con I che racconterebbero una prestazione Indecente (eccone un altro). Come Zazza, dove sta Anguissa? Non è possibile che sia lui, non è da credere che sia lo stesso che lo scorso anno trattata quelli del Liverpool come fossero dei bambini che avevano invaso il campo. Da colui che sovra gli altri come aquila vola, a uccello spennacchiato in crisi d’identità, Bisogna subito ritrovare la versione aggiornata dell’App Anguissa.
Dieci, undici, dodici, fate voi. Abbondate, con lo stesso animo del salumiere alle prese con la vostra richiesta di due etti di prosciutto. Di Lorenzo è di più, sempre di più. Il capitano segna e poi invita tutti a seguirlo, in questo viaggio ideale dalla pelle al cuore. Va verso la panchina, prova a ricucire certi strappi, a colmare certi vuoti con un cuore che meriterebbe di essere riconosciuto come autonoma provincia. Faro nella notte lusitana, traghettatore a cui affidare l’anima in questa delicata fase di transizione. Giovanni può essere la cura, ‘perché ci sono legami che sono semplicemente destinati a essere’. La nostra persona come in Grey’s Anatomy.
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