Da 0 a 10: la Roma vuole lo 0-3, l'enorme ca**ata di Mou, ADL in delirio con gli ultrà e Osimhen chiede il '110'
Zero a Mourinho, che si piazza col banchetto e fa il solito giochino delle tre carte, di cui si conosce trama e trucco. Dice di aver meritato la vittoria, dice che sul Napoli c’è una buona stella, dice di aver ammutolito il Maradona imponendo il gioco della sua Roma. Un sempre efficace Caparezza chioserebbe: “Diciamo diciamo diciamo diciamo un sacco di cazzate”. Josè ha fatto la fine di chi non esce mai dal suo personaggio: ne è divenuto schiavo, talvolta pure patetico.
Uno il giallo a Dybala per fallo su Lobotka, unica traccia sulla gara di quello che dovrebbe essere migliore, secondo Mourinho, di tutti i calciatori del Napoli. Durissimo Paulo su Stan, momenti di terrore puro per i tifosi azzurri ormai protagonisti di questo antico racconto: “Ogni giorno, su un campo da calcio, Lobotka viene martoriato di falli. Ogni giorno, fuori da un campo da calcio, un tifoso viene colto da un principio di infarto quando Lobotka resta a terra. Non importa che tu sia Stan o un tifoso, l’importante è che se muori, lo dici prima”.
Due interventi importanti di Meret, uno per tempo. Esplora anche uscite (pure con qualche brivido) che prima nemmeno accennava, costruisce una dimensione sempre più solida del suo essere portiere da una squadra che viaggia a ritmi record. L’aspetto mentale è il più interessante: il saper colmare la distanza tra l’attesa e l’azione e far coincidere la sua reazione alla necessità della squadra. Un labirinto filosofico, il tutto per dire che Alex sa farsi trovare pronto come un ambulante che nemmeno piove ma già sta provando a venderti un ombrello. E puntualmente pioverà. “Allora eri tu l'Uomo della Pioggia”.
Tre gol con la Fiorentina per ‘matare’ il Napoli defraudato nello scandaloso Inter-Juve nel 2018. Cholito stava dall’altra parte del destino, una distanza colmata con una volontà forgiata dal papà Diego. Tre gol, a Milan, Cremonese e Roma che sembrano dare una sostanza ancor più viva a quel sogno svanito con Sarri. Quanti incroci meravigliosi ha questa vita, quante storie da raccontare, gol da segnare, occhi da far luccicare. Dalla disperazione, alla gioia: folgorato come San Paolo sulla via del Maradona. La redenzione è (quasi) completa.
Quattro secondi in immersione, giù col cuore in apnea. Il malinteso Kim-Meret in avvio di gara è la pallina da tennis che danza sul nastro della rete in Match-Point di Woody Allen. Ridurre, però, la vittoria del Napoli ad una questione di fortuna, è scorretto. Ingeneroso. Disonesto. Gli azzurri sono andati a caccia del futuro, hanno voluto imprimere agli eventi lo sviluppo desiderato. Luciano ha portato tutti in escursione a Vaitheeswarankoil, al tempio dove sono custodite le ‘Foglie del Destino’: alfieri del motto di Alfieri sul Volli.
Cinque cambi, che poi ti ritrovi a giocare in sedici, al punto che la Roma potrebbe chiedere lo 0-3 a tavolino. Chi entra stava già giocando, chi esce non smette di giocare: così il Napoli non ha rivali. “Pure i magazzinieri” hanno giocato dice fiero Spalletti, capace di creare un ambiente coeso come quelli delle famiglie che fanno colazione negli spot in tv. È riuscito pure a convincere De Laurentiis che non servono molte parole, con Aurelio che si limita addirittura alle emoticon nei commenti su Twitter e all'uscita dallo stadio festeggia coi tifosi scatenato. Luciano è colui che tutto move in questo momento, una gloria che penetra e risplende in ogni ingranaggio di questa macchina perfetta. “Uniti dal più forte, dal più caro legame, e inoltre ricoperti di una dura corazza, sorrideremo a tutti senza paura alcuna”.
Sei e mezzo a Kvaratskhelia, che confeziona il suo TREDICESIMO assist stagionale. No, nessuno errore: ha già fatto tredici. E allora uno potrebbe pure divertirsi a trovare il pelino nell’uovo, ma poi c’è il dato brutale: che non c’è gara in cui non faccia qualcosa di determinante per la vittoria. Immaginate Vincent Van Gogh che guarda un suo dipinto con aria insoddisfatta. La sua insoddisfazione non toglie nulla al valore assoluto dell’opera, ma è garanzia che quella successiva sia ancora migliore. Capito il concetto? Anche in una serata normale, Kvara dipinge Kvara.
Sette pieno ai frammenti dell’artista introspettivo polacco: come un cioccolatino di Forrest Gump, anche di Zielinski non sai mai quello che ti capita. Pietro il grande, se avesse sempre questa voglia, domina nelle terre di confine tra centrocampo e attacco. Cuce gli spazi, copre gli spazi, azzera gli spazi facendo viaggiare il pallone ad una velocità che svilisce i tentativi avversari di prevenirne le giocate. Innesca la girata del Cholito con quei piedi donati di incanto e “Mamma diceva sempre che dalle scarpe di una persona si capiscono tante cose, dove va, dove è stata”. Ogni tanto dimentica dove vorrebbe andare, ma quando se ne ricorda è gioia.
Otto gol in 526 minuti, uno ogni 65. I numeri pazzeschi di Simeone sono quasi irrilevanti se paragonati alla sua carica contagiosa, a quella capacità di sacrificare ogni particella del suo corpo al servizio di un bene superiore: la squadra. Si aggira guardingo nei pressi dell’area di rigore, ha una cognizione del tempo che appartiene ai grandi predatori. È mortifero nel morso, è un Black Mamba che pratica la tecnica dell’esplosione del cuore in CINQUE passi. “In Africa c'è un adagio che dice: nella boscaglia, un elefante può ucciderti, un leopardo può ucciderti e un black mamba può ucciderti, ma solo con il black mamba la morte è sicura”.
Nove sempre a Osimhen. Che omaggia Don Lurio col passo “Petto, Ginocchio, cannonata sotto la traversa baby one, two, three”. Victor distrugge la facciata della porta di Rui Patricio, pronto a chiedere il bonus 110 per ristrutturarla, segnando un gol che lo colloca in una dimensione superiore. Quel gol, complesso come un quadro di Picasso, vale l’ascensione in una cerchia che appartiene a pochi, un club al mondo conta un paio di iscritti e pochi altri. Come scrisse Emile Zola: “La verità è in cammino e niente la potrà fermare”. Osimhen è un treno in corsa con una verità incontrovertibile da trasportare: essere il più determinante di tutta la Serie A.
Dieci giocate e nove vinte al Maradona da questo gruppo di infedeli, che prova a profanare il grande tempio di una Serie A malata e collusa, puttana e indecente nei suoi gestori. È una corsa matta e disperata di chi vuole terminare la lunga corsa ed urlare: “Ho vinto. Vi ho fregati tutti”. Contro una logica che imporrebbe altro. Contro un sistema che vorrebbe altro. Cade la neve, un lenzuolo di bianco si poggia sulla testa. Vogliamo sentirci ancora un po’ infedeli, come Carlo Verdone in Manuale D’amore. Vogliamo conservare per sempre, l’amore per una squadra che non potrà mai essere cancellato. “C’è la neve nei miei ricordi, c’è sempre la neve. E mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare. Tanto qui sotto, nulla è peccato”. Eppure, sentire. Eppure, sognare.
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