Da 0 a 10: l'esonero invocato di Ringhio Garcia, il tormento di ADL, la collezione di VAFFA e l’imperdonabile sputo sul passato
Zero a quella sensazione di fragilità, inquietudine costante e mai abbandonata: è una monetina che volteggia nel cielo il Napoli di Garcia, che devi sperare sempre che esca il lato buono. Dai destini forti, al richiamo a concetti Gattusiani come la cazzimma, uno strazio per chi deve vedere e ascoltare. Ringhio Rudi dice non riesce a vincerne tre di fila, come se vincere fosse un miracolo che arriva dall’alto e non qualcosa che si determina con volontà e lavoro. Arroccato ciecamente nella sua solitudine, che non lo porterà lontano. O cambia o andrà cambiato.
Uno il volto, che vorrebbe dire ma non può dire. Giovanni Di Lorenzo è tormentato, tra il dissidio del dovere di un capitano che è l’ultimo ad abbandonare la nave e la percezione acuita che la rotta presa sia quella sbagliata. Gli occhi non mentono e quelli di Giovanni, fissi sul prato verde con la testa china, sono quello di chi deve fare i conti con con le imboscate tese dalla nostalgia. Nel cervello Fausto Lealei: “Mi manchi, posso far finta di star bene, ma mi manchi”.
Due a uno, il gol sbagliato da Osimhen invocato da Garcia nella conferenza stampa in cui pare aver un solo obiettivo: difendere se stesso. Omette, Rudi, di ricordare che quell’occasione nasce da un errore clamoroso della Fiorentina, così come il rigore. Il 2-1 sarebbe stato un modo per camuffare un malessere, cipria su una pelle piena di imperfezioni. Pare affidarsi all’estemporaneità il tecnico francese, al tirare a campare. Diceva di vincere per ‘non dare biscotti alla stampa’ e invece ha deciso di aprire una fabbrica come il Signor Bistefani. Krumiri di qualità.
Tre Vaffa, come un apostrofo rosa tra le parole che non si possono pronunciare che ci censurano. Il tridente, tutto il tridente titolare del Napoli, ha invitato Garcia a recarsi lì dove batte poco sole. Prima Kvara, poi Osimhen e ora Politano hanno posterizzato il tecnico nelle sue enormi lacune gestionali, perché se a metà ottobre hai collezionato più insulti di un cacciatore ad un raduno di vegani, qualche errore l’hai commesso. Presto in edicola la prima uscita edita da Mondadori: I Vaffa di Rudi, tutti da collezionare. Garcia passione numismatica.
Quattro-tre-tre, anzi no, certo che sì. Per mezz’ora la Fiorentina ti fa ballare come le zingare del deserto, ma Garcia con Anguissa out cambia modulo. Condanna Lobotka e Zielinski, meravigliosi cantori di un tempo che pare troppo lontano, a fare i cagnacci in mediana, pugnalando i loro versi e mortificando la loro vena poetica. Dopo il pareggio resiste qualche minuto, poi la paura inonda il suo terreno e torna al 4-3-3, lasciando il povero Raspadori a galleggiare come pesce fuor d’acqua sull’esterno. La grandine avrebbe fatto meno danni.
Cinque gare al Maradona, Champions inclusa, e tre sconfitte. Quando la qualità del dirimpettaio sale, quando ci si confronta con un sistema di gioco consolidato, il Napoli si sgretola come un a contatto con l’atmosfera terrestre: resta solo una scia della squadra abbacinante che è ancora negli occhi. Vincenzo Italiano ieri era Otto Disc, che guida il pulmino dei Simpson, e porta a scuola un Garcia sempre colpevole come Bart.Idee, filosofia di gioco, identità sono virtù messe in mostra dalla Fiorentina, un campionario a cui il francese si è opposto con la più assoluta improvvisazione. Ma per sembrare ottimamente improvvisate le cose devono essere perfettamente provate.
Sei Aurelio De Laurentiis e devi prendere una scelta tormentata: difendere il tuo azzardo o prendere atto di aver preso una cantonata? Ci starà pensando il presidente, che con Garcia s’è preso un rischio ed è ora chiamato a gestirne le conseguenze. È Rudi l’uomo giusto? Può continuare ad esserlo dopo questo avvio zoppicante? Dopo i segnali discordanti, le montagne russe emotive, le insofferenze dei big? Chi ha lo scudetto sul petto non ha troppo tempo da perdere, “che perder tempo a chi più sa, più spiace”. Ci metta la faccia il presidente, accolga il malessere della piazza dopo aver ricevuto le lodi per il tricolore.
Sette minuti e le gambe di Meret tremano, ma non sono brividi d’amor. È dormiente Alex, quasi anestetizzato sul gol di Brekalo, un linguaggio del corpo che non mente. Non è sereno, le critiche ne hanno acuito il disagio, la paura è divenuta una compagna troppo ingombrante. Un portiere senza serenità è come un uomo con una pistola che incontra un uomo col fucile: ha poche speranze. È tempo di uomini coraggiosi, perché quei tre colori sul petto non sono macchie, ma una responsabilità che bisogna saper gestire. Sali a bordo Alex!
Otto e sette, come gli 87’ giocati da Elmas sui 720 giocati in campionato. Sono 230 quelli disputati da Mario Rui. Due fedelissimi di Spalletti, esiliati come Foscolo che non rivedrà giammai le sacre sponde. Numeri più che sospetti, accanimento non tollerabile nei confronti di chi ha recitato un ruolo importante nella cavalcata tricolore. Elmas, primo cambio di Luciano in ogni occasione, che resta a guardare quando sarebbe stata la mossa ideale con lo stop di Anguissa. Mario Rui totalmente ignorato, dopo la miseria dei 2’ in campo col Real. Garcia continua a sputare sul passato e nessuno potrà mai perdonarlo per questo.
Nove il numero di Osimhen, che Garcia toglie dal campo assieme a Lobotka e Zielinski. Nemmeno una spia russa esperta di sabotaggio avrebbe osato immaginare ciò che il francese ha pure l’ardire di fare. Non si capisce se sia masochismo, inconscio desiderio di lasciarsi cadere giù, pazzia senza alcuna lucidità. Aggiungiamoci pure la questione Lindstrom, che Garcia dirotta a sinistra spostando Kvara. Ma non s’era parlato con la società? Se non lo vedeva esterno destro perché prenderlo? Quante domande, che attendono delle risposte.
Dieci punti lasciati per strada, ma sarebbe il male minore. Ciò che Garcia ha sperperato, non è qualcosa che si può contare o accumulare come il patrimonio di Zio Paperone in Klondike. È stata dilapidata un’emozione incredibile, un feeling emotivamente appagante, la paradisiaca corrispondenza tra desideri e sensi. C’era un Napoli che al fischio d’inizio ti trascinava in un vortice sensuale, mistico, un viaggio edonistico senza condizioni. Pugnalare l’anima di quella squadra, dissolvere la speranza di poterla ritrovare, fingere che non sia mai esistita è un trittico straziante per chi s’era perso dentro quel sentimento. Così fa male, davvero tanto male.
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