Da 0 a 10: il titolo shock di Tuttosport, il frontale Allegri-Spalletti, il gol in rovesciata di Mario Rui e la spiegazione del dito di Kvara
Zero minuti dormiti, Eyes Wide Open con la variante del film di Kubrick. È il post partita più lungo della storia, con le immagini dei gol che ritornavano nel cervello come schegge impazzite di ricordi. Sarà una Napoli di vaganti ciondolanti, ma con un sorriso stampato sulla faccia, condividendo una gioia silenziosa. Guarderemo le occhiaie degli altri e capiremo che quello è uno che s’è chiesto tutta la notte come Troisi con l’inventore della penicillina: "Ma Bremer era davvero sicuro di aver capito come si marcasse Osimhen?". Nessun sogno è mai solamente un sogno…
Uno il titolo shock di Tuttosport, che pensi di aver sbagliato indirizzo. “Juve umiliata, l’anno del Napoli”. Una redenzione improvvisa, folgorazione come quella di San Paolo sulla via di Damasco: miracoli di una squadra che ha fatto arrossire (di vergogna) tanti commentatori che s’erano lanciati in catastrofiche previsioni. Come comprare un mobile all’Ikea e trovarlo già montato: spiazzante.
Due cani rabbiosi, che pare di vedere il film Slevin. Quando annusano lo spazio, Victor e Kvara entrato in uno stato onirico, quel prato verde da conquistare ha lo stesso effetto della pillola NZT 48 di Limitless. Non c’è argine che possa contenere l’abbacinante combinazione di atletismo e tecnica, che risulterebbe però ricetta insipida se non fosse impreziosita da una ferrea volontà di stravolgere il loro mondo e quello delle difese avversarie.“Siamo programmati per strafare” vanno urlando a gran voce, e come dargli torto: hanno segnato già 23 gol e fornito 17 assist in stagione. Unbelievable.
Tre punti, che non rappresentano la vittoria del calcio. Perchè significherebbe che di fronte ci fosse una squadra col desiderio di giocare lo stesso sport e così non è stato. La Juve di Allegri, da sempre, è l’anti-calcio, votata a distruggere e sfruttare le individualità. Sono due filosofie che non possono coesistere, che camminano su binari destinati a non incontrarsi mai. Come vedere Muhammad Ali fare a pugni su un ring contro ‘Piddu testa di Olbia’, mitologico pugile del film Bomber che ‘Ambiva al titolo della sua categoria Piumino’.
Quattro come il quarto gol, che nasconde al tabellino il vero marcatore: è Mario Rui, che si fa quaranta metri che in molti si sarebbero risparmiati su una palla che sembrava persa e genera poi la carambola che porta la palla a Kvara. Lo scudetto del Napoli, le ambizioni, i sogni, le speranze, le paure: sta tutto lì dentro. Dentro quella corsa, immerse in quel sacrificio di Mario che genera un amore sincero, una venerazione che appartiene solo agli uomini che hanno qualcosa di apprezzabile nello spirito, prima che nelle loro chiacchiere. Meglio di un gol in rovesciata.
Cinque pappine, sia gentile. Al fischio finale Allegri pare Forrest Gump, va in fuga scudetto (al contrario) e inizia a correre senza motivo. Luciano, però, segue la scia, annusa l’occasione storica e mica se la lascia sfuggire. Si aggira per il Maradona con questa manona spalancata, che pare Pruzzo con Oronzo Canà nell'Allenatore nel pallone: cinque dita da stringere come un patto di sangue su una vittoria da orgasmo. Max non voleva dare mano, Spalleti sì, eccome. Alla fine lo raggiunge, lo cinge in una stretta che fa il rumore di un palo di frassino che si conficca nel cuore di Dracula. “Il nemico è scappato, è vinto, è battuto”. Generale Luciano, portaci dove ti pare. Spalletti sul ponte di comando indirizza come Jack Sparrow la sua bussola dei desideri verso lo scudetto, che punta sempre verso una sola direzione: la bellezza.
Sei Alex, una consapevolezza che serviva. La notte da favola dona a Meret un’altro piccolo pezzo del mosaico per la piena consapevolezza, in quella smanacciata sul tocco di Rrahmani che poteva cambiare l’inerzia a fine primo tempo. La storia è come l’oceano: servono tante gocce per donare quel senso di immensità. Questo Napoli è lo Stato ideale di Platone: tutti contribuiscono in base alle singole capacità al bene comune. Ripetiamolo insieme Alex: “Se la gente parla male di te, vivi in modo tale che nessuno possa crederle”.
Sette gol e dieci assist in Serie A allo scherzo della natura. Kvaratskhelia è Zatōichi, celebre spadaccino giapponese che si finge cieco nato dalla penna di Kan Shimozawa. A chi gli domanda perché fingesse rispondeva: “Perché chi non vede, sente meglio degli altri. Eccolo il segreto di Khvicha, che sa stanare la luce anche da un tunnel che pare senza uscita. La dolcezza del tocco per l’assist a Osimhen è un colpo da biliardo che farebbe invidia al Signor Quindicipalle. Sublimazione di uno stato di grazia immediatamente ritrovato, poesia senza argini che scorre in vene quasi otturate dal continuo rifornimento di un’ispirazione ultraterrena. Il dito sulla bocca ha destinatari facilmente individuabili: silenzio, parla Kvara.
Otto al Napoli degli altri, che non finiscono in copertina ma fanno tutto il necessario per le vittorie. La girata fantastica di Rrahmani, la ciliegina di un Elmas sempre più bomber (4 gol nelle ultime 6), Kim che respinge come la Sfinge ogni possibile visitatore e l'onnipresente Di Lorenzo. E poi c’è Lobotka la centrifuga, che trae il buono da ogni situazione riciclando palloni come fosse il ragioniere di una cosca malavitosa: un fertilizzante di calcio capace di far germogliare anche il terreno più arido. Impossibile non abbandonarsi totalmente a questa squadra, concedersi senza difese, lasciarsi cullare dalle onde che si fanno tempesta per gli avversari. È proprio vero: “Ti amo non per chi sei tu, ma per chi sono io quando sto con te”.
Nove a quel ragazzo con la nove, che giocherebbe allo stesso modo anche in un campo pieno di fango, in una qualsiasi provincia del mondo. Non è lo scenario ad attrarre Osimhen, ma il pallone. Il gioco. Urlare forte al vento: “Ce l’ho fatta. Ci sono riuscito. Sono salvo”. Una redenzione che passa dalla fede, una fede che nasce forse dall’unica speranza che ti era rimasta. Un giocatore al casinò, che punta la sua ultima fiches su se stesso. E quando piazzi quella scommessa, quando pieghi la volontà al tuo sogno, ogni fatica appare ridicola. Victor è in viaggio, lo sarà per sempre. Sposterà la metà finale un metro sempre più in là, uno come lui non sa fare altrimenti. E mentre porta a spasso le sue valigie, trova pure il tempo di dominare la nostra Serie A. Sì, perchè se qualcuno non l’avesse capito, se qualcuno avesse ancora dubbi, qui si è insediata una nuova tirannia: È il campionato di Re Victor I di Lagos, signore del Vento e di ogni oggetto vagante nei pressi di un’area di rigore. Il trio difensivo della Juve al confronto sembrava quello di Alvin e dei Chipmunks.
Dieci punti sulla Juve e se ne frega. Il Napoli ha come riferimento solo se stesso. Come Pantani sulla rampa di una montagna. Un bruco diventato farfalla, o meglio una farfalla che ha trovato il modo di evolversi per tenersi longeva e non spegnere la sua bellezza troppo in fretta. Una libertà che il Napoli sventaglia battendo le ali al vento, cospargendo il terreno di gioco di un profumo soave riuscendo allo stesso tempo a fonderlo con il sudore della fatica. La bellezza eterna ed immutabile di Grace Kelly che si fonde con la voglia di sacrificio di Aleksej Grigor'evič Stachanov. L’album ha ancora tante pagine bianche da riempire e magari da colorare con tre colori che tutti sogniamo. Nessuno avrà nulla in contrario se su quell’album ci sia già finita qualche lacrima. Di gioia pura.
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