Da 0 a 10: gli atti osceni di Lobotka, le ca**ate contro il Napoli, la strafottenza di Kvara e la fine dei tormenti di Meret
Zero possibilità. Il Napoli era stato scaricato ai bordi della strada, come una vasca da bagno che manco al mercato delle pulci ci rimediavi cinquanta euro. Una grossa fetta della stampa nazionale ne aveva già officiato il funerale, come accade puntualmente ad ogni sessione estiva. Ridimensionamento, voci di cessione di De Laurentiis, gli sceicchi, gli americani, gli svizzeri, la cioccolata, Amazon, Elon Musk e pure Donald Trump. Una lista infinita di cazzate per non riconoscere la serietà di questo progetto, che nemmeno dopo un avvio di stagione strepitoso riesce a strappare il primo piano su due quotidiani sportivi nazionali. Fatevi un pochino due calcoli…
Una la denuncia sporta contro Lobotka per atti osceni in luogo pubblico. È una esibizione spudorata di attributi quella di Stan, che dopo un primo tempo in gabbia si libera dalle catene e inizia a dominare come Pantani sull’Alpe d’Huez nel ’97. Rievocando un vecchio spot di pile, mentre tutti si spengono lui è ancora a trottare in mezzo al campo a dettare ritmi della gara e mandare spesso fuori giri il pressing rossonero. Comandare a bassa voce è la suprema forma di controllo. Deliziosamente Lobotka.
Due pilastri al centro del cuore, in difesa degli affanni, al servizio di qualche momento di debolezza. Rrahmani e Kim si completano come Tom Cruise e Renée Zellweger in Jerry Maguire, che ci avevano già convinto al ‘Ciao’. Impatto mostruoso per la nuova coppia titolare, al punto da pensare che non ci sia stata soluzione di continuità nella transizione tra Koulibaly ed il Mostro Sud-coreano. L’urlo di Min-Jae al minuto 96’, dopo aver salvato in spaccata volante su Brahim Diaz, terrorizza Milano e tutte le province fino a Pioltello.
Tre punti griffati ‘Professore’. Potrebbe giocare in giacca e cravatta Mario Rui, che si aggira nei pressi delle operazioni con la sua 24 ore il dopobarba che sa di pioggia. Uomini soli per l’unicità di una prestazione che si erge sulle altre, per quell’assist che è un apostrofo rosa tra le parole L’Amo. Perchè Simeone lancia l’esca, la difesa abbocca, ma ci voleva il piedino di Mario per metterla proprio sulla zucca del Cholito. “Da grande voglio divenire uno scienziato!” Ripeteva il piccolo Rui. E così fu.
Quattro tiri concessi al Napoli, dice Pioli a fine gara. È stata partita a scacchi e in certe gare fare la prima mossa non sempre ti garantisce la vittoria. Gli azzurri l’hanno vinta con la pazienza, hanno contenuto la sfuriata rossonera in avvio e contemplato l’idea che potesse arrivare il momento propizio, onorando il culto dell’attesa che appartiene ai sognatori. Non c’è improvvisazione nella trama di San Siro, c’è una capacità di pianificare che è di una lucidità sbalorditiva per questa creatura assemblata da così poco tempo. Il Milan avrebbe potuto vincere, il Napoli ha saputo vincere. Nulla è stato affidato al caso, nulla è accaduto per eventi fortuiti. C’è una grande volontà alla base di questi tre punti.
Cinque e mezzo a Zerbin che si ritrova scaraventato in una Royal Rumble in stile WWE senza avere la forza fisica ed emotiva per reggere l’urto. Deve recitare una parte che non è pronto a recitare, un ruolo che ancora non gli appartiene. Come il Franchino di Fantozzi che si trova a promuovere un deodorante: scelta azzardata di Spalletti. Che poteva costare molto cara, un prezzo forse troppo alto per un ragazzo che rischia così di bruciarsi. Giudizio Luciano, giudizio.
Sei e mezzo per la fase offensiva, sette più per quella difensiva. Politano stava gestendo un cliente scomodo come Theo con lucidità, non a caso dal suo infortunio il Napoli ha iniziato a sanguinare in quello zona del campo. Utile e fortunato, che non guasta mai: un rigore calciato così male, che passa sotto la pancia del miglior portiere del campionato è elogio al monologo iniziale di Match Point: “La gente ha paura di ammettere quanto la fortuna conti nella vita, terrorizza pensare che sia così fuori controllo”. Eroe pure per caso, che male c’è.
Sette vittorie su nove gare ufficiali. Primi in Serie e pure in Champions League, vincendo sul campo del Milan, della Lazio e asfaltando il Liverpool. Sembra un cubo di Rubik questo Napoli, capace di mostrare facce differenti e risultare un rompicapo per chiunque provi a trovare una soluzione all’enigma partenopeo. Trova sempre il modo di farti male questa squadra, che ha più soluzioni dell’ultima pagina della settimana enigmistica. Non sono le vittorie a far ben sperare, è il modo in cui sono state ottenute.
Otto all’impassibile Kvaratskhelia. È scioccante la capacità del numero 77 di non affievolire mai il suo entusiasmo, cercando sempre la giocata risolutiva anche quando la gara sembra spingersi verso altre direzioni. Riesce, per lunghi tratti da solo, a contrastare l’inerzia del match che vorrebbe portare la contesa dalla parte del Diavolo. Servante per chiunque provi a contenerlo, perchè alla lunga ti manda fuori giri, che devi prenderlo a calci e atterrarlo: il trattamento in stile Arancia Meccanica fa uscire di testa Calabria, Kjaer e poi Serginho che lo stende in area. Mai giornata più azzeccata di oggi per rievocare il pensiero poetico di Bellavista: “San Gennaro mio, non ti crucciare, lo sai che ti voglio bene. Ma na finta 'e Kvaratskhelia scioglie 'o sanghe dint''e vene”.
Nove tocchi: Simeone ha toccato il pallone appena nove volte contro il Milan. Solo nove volte. La prova provata che il concetto di quantità venga spesso sopravvalutato, che gli attimi che rubano il respiro li conti sulle dite delle mani. Bisogna essere puntuali agli appuntamenti col destino e questo Cholito a spasso per il campo con questo enorme orologio, come il Bianconiglio di Alice nel Paese delle meraviglie, che sembra girare a caso e invece sa sempre dove andare. Come essere presente agli incontri con la storia. Dal Liverpool a San Siro: due attimi di eterno conquistati al primo sguardo.
Dieci alla notte di Meret, al sapore speciale della definitiva rinascita. Niente più ceneri, l’araba fenice ha chiuso il cerchio e spiegato nuovamente le ali. Vola Alex sul tiro ravvicinato di Giroud e orienta tutta la trama successiva della gara e pure al suo futuro. Non c’è più rancore, è una pagina che si proietta al bianco di nuove storie, un capitolo nuovo che attende solo di essere vissuto da protagonista. Dopo inchiostro caldo, che bruciava la pelle, ora il tratto si è fatto leggero, libero, spensierato. E non c’è niente di più bello di un sole che torna a sorgere dopo così tanto buio. La porta del Napoli è affidata al suo legittimo proprietario.
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