Da 0 a 10: Dazn fa esplodere i social, gli allucinanti insulti a Meret, Spalletti va in Tibet e le minch**te di chi non aspettava altro
Zero alla sindrome del bicchiere mezzo pieno, anzi bucato. Che ci puoi mettere diciotto litri di vino, ma diranno sempre che è vuoto. Cadesse una nocciolina sulla terra, racconterebbero di un meteorite che minaccia il genere umano. La misura delle cose, la capacità di considerare ogni elemento che determina un singolo evento divide l’analista dall’allarmista. Il problema, purtroppo, è che l’allarmista strilla e fa più rumore e finisce che qualcuno gli dà pure retta.
Uno come il tiro in porta di Raspadori, unico vero squillo che impensierisce Onana. È un Napoli che gira il suo film ad una velocità rallentata, ripropone gli stessi concetti ma li espone come se avesse attivato una diversa sequenza, rallentata come E.T mentre alza l’indice per chiedere di telefonare a casa. Guardare San Siro con gli occhi di una mosca e fare tutto troppo lentamente. Passerà.
Due boccate d’ossigeno. L’Italia tutta, s’è desta. Ringalluzzita, ha lustrato il vestito buono ed è scesa trionfante in piazza a celebrare l’evento tanto atteso. Il Napoli, nella prima parte della stagione, ha rappresentato l’imprevisto che becchi al Monopoly, di quelli che finisci in prigione (qualche club in Serie A l’ha pure Pescata davvero quella carta) senza passare dal via. Nella narrazione italica, il ko del Napoli rappresenta l’atteso punto di svolta. Lo urlano tutti, lo urleranno fino a far ingrossare le corde vocali. “Il campionato è riaperto”. Ma chi glielo spiega che qui non hai mai pensato nessuno che fosse chiuso?
Tre volte in questa stagione il Napoli non è andato in gol: a Firenze, A Liverpool e nella trasferta con l’Inter. Con i nerazzurri la produzione offensiva, rispetto alle abitudini, è stata molto lontana dalle vecchie e buonissime abitudini pre mondiali. Come abbuffarsi di ogni tipo di cibo durante le feste e poi pulirsi la coscienza mangiando l’ananas, perchè ‘Brucia i grassi’. Troppo poco.
Quattro secondi di gara, rotellina, partita, rotellina, immagine sgranata, rotellina, apparizione dell’Arcangelo Gabriele, rotellina, Ganesha mangia le noccioline dal tuo tavolo, rotellina.. La sequenza che DAZN ha regalato nelle case di migliaia di tifosi è questa, un’agonia che non può avere giustificazioni. Attendere due mesi per rivedere la propria squadra del cuore e ritrovarsi ad imprecare dinanzi ad un messaggio d’errore è come tornare da una lunga guerra e non trovare la chiave di cintura di castità come in SuperFantozzi. Che disastro.
Cinque all’azzardo di Rrahmani, al rientro opaco dopo un lungo stop. Non gioca una brutta gara, ma prende la decisione che costa la sconfitta al Napoli: scommette sul movimento di Dzeko, quando bastava restare appiccicato all’uomo. Poco lucido, come chi al Mercante in Fiera investe tutto sulla carta del ‘Lattante’ e si illude di portare a casa qualche premio.
Sei meno a Kvara, che prende più mazzate di Rocky nei primi round con Ivan Drago. Sozza non tutela il gioco, ma consente all’Inter che vuol picchiare di fissare l’asticella della fisicità ben oltre il consentito. Grazia Skriniar in avvio, poi Barella lanciando un segnale ai nerazzurri che non risparmiano a Kvicha nessun contatto. Prova a ricamare qualche idea, senza che Zielinski (primo tempo) e Osimhen (secondo) mostrino la giusta reattività. Non il solito Kvara, eppure meglio di tanti altri: segno di una diversità che è grandezza.
Sette alla gestione di Spalletti. Non fa nomi, non dà numeri, non cade in nessuna trappola mediatica. Vorrebbero innervosirlo, invece pare di vedere Brad Pitt dopo che è tornato dal suo giretto di sette anni in Tibet. Sorride quasi, normalizza un ko che prima o poi doveva pure arrivare. Difende i suoi, se li coccola, spruzza una colata di camomilla su una piazza che non vedeva l’ora di arrabbiarsi. Luciano invece non si incazza, sa bene che non servirebbe. Non ora, non lì. In privato qualche parolina la dirà, ma col tono giusto. Essere leader vuol dire, prima di tutto, gestire prima di tutto se stessi. Le parole possono fare più danni di una sconfitta. Lucidissimo.
Otto punti sull’Inter, sette sulla Juve, cinque sul Milan. Respirare, inspirare. Ripetiamo insieme come fosse un mantra: “Guarda la classifica. Prima di sparare minch**te, guarda la classifica”. Ripetere l’esercizio fino a soddisfare la naturale esigenza di sfogarsi, perchè l’amarezza è fisiologica soprattutto dopo un’attesa così lunga. L’aspetto motivazionale ha fatto la differenza: il Napoli pensava bastasse l’ordinario, l’Inter ha buttato in campo tutto ciò che aveva. “Tra troppo presto e troppo tardi non c'è che un attimo": è sempre il tempismo a fare la differenza nella vita.
Nove tiri in porta dice il tabellino, questa volta bugiardo come il Ser Cepparello nel Decamerone di Boccaccio. Doveroso riconoscere che l’Inter ha avuto più occasioni, inopportuno puntare il dito (più di qualcuno lo ha fatto) contro Meret che ‘DOVEVA USCIRE’ sul missile telecomandato di Dimarco sulla testa di Dzeko. “L’ossessione è un gioco che si fa da giovani” ammoniva un superlativo Michael Caine in The Prestige: con Alex in troppi sono confinati a questa fase adolescenziale.
Dieci alla miglior notizia possibile: si rigioca domenica. Il campo è l’unico posto a cui affidare questo momento, che doveva arrivare. Che era dietro l’angolo. Perchè una stagione è lunga, logorante, fatta di momenti che non possono esser tutti uguali. Devi farci i conti con i primi dubbi, devi guardarli negli occhi, affrontarli sul loro terreno e mandarli al tappeto. A Genova bisogna dargli un cazzotto in faccia a questi spifferi. C’è uno spartito da rispolverare, una strada da riprendere: “Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.
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