Da 0 a 10: ADL e l’acquisto da 30 milioni, la gufata di Bergomi a Sky, la balla spaziale di Mazzarri e le infamie su Osimhen
Zero al de profundis di Bergomi in cronaca. Lo Zio a Sky sembra una prefica, chiamata a celebrare un funerale, senza che ci sia il morto. “Questa sarà una partita lunghissima dice” dopo mezzo’ora, col Napoli in vantaggio già di un gol e che qualche secondo dopo va sul 2-0. Lo segue a ruota Caressa, che per tutta la partita, anche prima del fischio d’inizio, ci tiene a sottolineare che Kvara è nervoso e non passa la palla. “Andiamo agli ottavi Beppe”. Senza nessuna fatica.
Uno a zero con l’autorete di Serdar, più goffo di Bridget Jones ad un primo appuntamento sul cross di Politano. È che poi il pallone, in una parte della sua eziologia, è pure una questione di Fattore C con la C che sta per Culo. Con buona causa dei dottorandi che pontificano su ogni come Alan in ‘Una notte da leoni’ che prova a fare calcoli quantistici al tavolo di Black Jack, scomponendo ogni azione al microscopio. Un pochino di sanissima fortuna e la pillola va giù.
Due milioni e ottocento mila euro pompano nelle casse di De Laurentiis, una musica che non può che estasiare il presidente che incassa pure i soldi della qualificazioni e ‘gufa’ le altre italiane per la questione market pool. Denaro che è un invito, col gennaio che a grandi falcate s’avvicina, a prendere seriamente in considerazione l’idea di regalare un centrale di primo livello, uno da 30 milioni per capirci, che possa permettere a Natan di crescere con maggiore serenità e al reparto di godere di maggiore stabilità. Tecnica ed emotiva. In altre parole: un leader.
Tre volte soltanto in panchina nelle ventuno gare giocate sino a qui da Politano. Titolare in diciotto gare e, praticamente, non ne ha sbagliato manco mezza. Anche col Braga è una spina nel fianco lusitano, crea occasioni per se e per i compagni caricando a testa bassa l’area avversaria. Dall’essere intermittente come le luci di Natale, a certezza assoluta per l’oggi per il domani. Illuminato, come il dott. Frederick von Frankenstein: “Finché dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò”. Che bravo Matteo!
“Il Quattro-tre-tre è il mio modulo preferito”. Mazzarri spara una clamorosa bugia bianca, perchè lo sappiamo tutti che non è così, ma sappiamo pure che non c’è una particella del corpo di Walter che non stia provando a cambiare il volto della stagione. Ci sta mettendo tutto quello che ha, sta facendo da padre, da amico, da psicologo ad una squadra che si guarda allo specchio e non riceve più la risposta che per dodici mesi aveva cullato le orecchie sull’essere la più bella del reame. Mazzarri deve ricercare una nuova formula vincente, mostrarsi più abile del Conte di Cagliostro che millantava di saper trasformare il piombo in oro. Nel Napoli c’è tanto oro, che deve tornare a luccicare.
Cinque dita e la mano aperta a scacciare via gli spifferi. Soffia via il pericolo Meret sulla bomba da fuori di Horta, mette un cerotto sulle labbra che straboccano di veleno ad ogni suo movimento o presunta incertezza. La porta resta inviolata, la psiche è ancora tramortita da una shit-storm ignobile e inspiegabile per chi ha difeso la porta dei Campioni d’Italia. “Il Napoli di Spalletti non subiva tiri” è uno sciocchezza che offende chi la pronuncia e l’intelligenza di chi ascolta. Lasciamo tranquillo Alex.
Sei giorni dal sorteggio degli ottavi di Champions, lunedì alle 12 a Nyon. Quanto credito negli anni abbiamo maturato col destino, quante volte, puntualmente, ci è toccato la peggiore delle avversarie possibili. Chissà che non sia giunto un tempo, quel tempo, in cui quel debito venga sanato e la sorte restituisca un pezzettino di giustizia ai sogni di gloria azzurri. Tutto questo ‘paraustiello’ si poteva riassumere in due parole: Real Sociedad. Io rivendico pubblicamente, spudoratamente, la voglia di beccare agli ottavi i Baschi.
Sette gol in stagione, primo in Champions, per Osimhen. Victor conferma di poter segnare in qualsiasi modo, pure inciampando su un pallone che entra in porta solo perché spinto da una fortissima, immanente, volontà. Quella che ha portato un ragazzo che vendeva acqua ai semafori di Lagos, ad alzare il Pallone d’Oro africano. E quante infamie si sono lette, per un viaggio in Marocco che certifica lo status del Napoli, non solo di Osimhen, come club di primo livello. E i club di primo livello hanno giocatori che alzano premi, che vanno alle cerimonie, che si prendono le copertine. I provincialismi da bacchettoni della vigilia ‘È uno scandalo che il Napoli lo faccia partire’ sono un vizio bigotto, una pessima eredità del giornalismo di quartiere. Lode a Victor, Regnante del continente Africano con la maglia del Napoli. Sabato fategli alzare il premio davanti al Maradona.
Otto alla ricerca del tempo perduto di un Mazzarri in versione Proust. Walter lo sa, che deve scavare nella pietra, fare lo speleologo che cerca le tracce di un pallone ora sotterrato da detriti francesi. “Abbiamo rivisto cose del Napoli dell'anno scorso che si erano un po' perse” dice a fine gara, lasciando ulteriormente intendere di quanto fosse stata sciagurata e irrispettosa la gestione precedente. “Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso”. La memoria. Ora la memoria è la cosa più preziosa su cui lavorare.
Nove a Natan, che pare Forrest Gump quando corre senza fermarsi mai tra le praterie della contea Greenbow, nello stato dell’Alabama. Spazzata via la timidezza, il brasiliano sull’esterno mostra gamba e tempismo per poter assolvere al ruolo, una fisicità che è ancora tutta da esplorare, un seme che sta raccogliendo con grande velocità le sostanze nutritive per la propria crescita. “Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata”. Le vie del guerriero sono infinite e Natan lo è.
Dieci punti nel girone, una storica seconda volta consecutiva agli ottavi e diversi problemi da affrontare. Resta un pochino di rancore verso il recente passato, sembra di sentire il ‘Pablo’ di De Gregori, rivoluzionario che ha perso la passione per la rivoluzione e vuole ritrovarla. Un dissidio che nel Napoli si incarna alla perfezione nelle piccole paure di Kvaratskhelia, che nella testa ha un piccolo blocco, quando c’è da compiere l’ultimo decisivo passo. Va ritrovata quella leggerezza, quell’imprudenza tipica di chi non ha niente da perdere e tutto da conquistare. Vincere è sempre una parte della cura. “Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo”. Noi siamo ancora qua.
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