Il suo essere riportava il calcio alle origini. “Pallone entra quando Dio vuole”: ciao Boskov, ora sei entrato lassù

Il suo essere riportava il calcio alle origini. “Pallone entra quando Dio vuole”: ciao Boskov, ora sei entrato lassù
lunedì 28 aprile 2014, 18:32Zoom
di Vincenzo Balzano

“Rigore è, quando arbitro fischia”: sembra l'ovvietà fatta frase, quella pronunciata in un pomeriggio di venticinque anni fa da Vujadin Boskov. Ma l'essenziale è spesso invisibile agli occhi, e racconta in questo caso del modo più gentile in cui potesse esprimersi un allenatore come lui: un Uomo, con la U maiuscola, prima che un grande allenatore, che da queste parti abbiamo avuto la fortuna di conoscere per quasi due anni: prese la squadra dalle mani di Guerini, nei bassifondi della classifica, la portò a sfiorare la qualificazione Uefa negata da un gol di Marco Delvecchio, che in Europa ci spinse l'Inter. Poi arrivarono i "fratellini", come li chiamò zio Vuja: eh già, perchè la stagione successiva Ferlaino, Gallo e Moxedano costruirono un Napoli imbottito per lo più di giovani, che lui non ebbe paura a far esordire: su tutti Arturo Di Napoli e il compianto Carmelo Imbriani. Ferlaino stava per prendere Inzaghi dal Parma, poi Super Pippo segnò in Coppa delle Coppe contro l'Halmstad e Tanzi lo tolse dal mercato. Boskov, da esperto e navigato comunicatore, disse: “Ho Imbriani, non mi serve Inzaghi”. E salvò capra e cavoli. Non finì bene quel campionato, il Napoli lo concluse al dodicesimo posto e lui andò via a fine stagione, lasciando comunque un bellissimo ricordo in tutti i tifosi azzurri. Che seppero apprezzare in Boskov la schiettezza, il carattere, la bravura tecnica e la gestione di uno spogliatoio che soffriva il lento declino di una società già avviata verso il fallimento.

Oggi Roberto Mancini ricordando gli anni passati insieme alla Smapdoria, dalle colonne della Gazzetta dello Sport lo ha ricordato con queste parole: “Eravamo una squadra giovane e talentuosa, lui fu l'uomo giusto al momento giusto. Nei momenti difficili, e ce ne furono anche nell'anno dello scudetto, comunicava una tranquillità disarmante. “Siete i migliori – ci diceva – troverete la strada. Magari io conosco una scorciatoia”. Una strategia totalmente opposta a quella della tensione che alcuni tecnici di oggi fanno respirare ai propri giocatori. "Come quando, prima di una partita con il Milan, disse a Vierchowood: “Tu prendi Gullit e infilatelo nel taschino”, chiude Mancini.

Era così Vujadin Boskov, personaggio e antipersonaggio, l'emblema della semplicità applicata al pallone, che spesso si prende troppo sul serio, e che lui invece sapeva riportare all'origine dei tempi: un gioco che, come tutti i giochi, deve soprattutto far star bene chi lo pratica e chi lo guarda. “Un grande giocatore vede autostrade dove altri vedono solo sentieri”, disse un giorno, oggi lui ha imboccato quello dell'eternità, perchè se è vero che “Pallone entra quando Dio vuole”, siamo sicuri che lassù, un maestro del pallone, sarà già entrato.