Da Zero a Dieci: il terreno infame che sporca l’identità, le bocche cucite da Arek, la macchia sulla coscienza e la furia improvvisa

(di Arturo Minervini) - Zero all’idea fastidiosa di essersi allontanati dalla propria natura. Il Napoli ha portato avanti un’idea, l’ha sviluppata, l’ha protetta come una rosa sotto una campana di vetro rendendola unica. Col Sassuolo quell’idea è stata messa da parte, si è fatta travolgere dall’ansia e dalla preoccupazione, masticare dalla fretta e dall’ossessione del risultato ad ogni costo. Così il Napoli si è appesantito, proprio come un terreno di gioco infame ed imbarazzante. Le ali sono diventate di cemento, il cigno è diventato struzzo con la testa sotto la sabbia. Quando la tira fuori, è ormai troppo tardi per porre rimedio.
Uno come un attimo che fugge, rincorrendo tempo e spazio. Arek Milik si accartoccia in rovesciata e stampa la palla sulla traversa a Sassuolo, stesso destino riservato dalla sorte al missile scagliato a Torino tre ore dopo da Hakan Çalhanoğlu. Due istantanee che raccontano quanto la sorte possa spostare equilibri, accanirsi da una parte ed accarezzarti dall’altra. Come Gwyneth Paltrow che guarda le Sliding Doors di una metro che si chiudono, cambiando inevitabilmente il tuo futuro. Accettare che la fortuna incida in maniera importante sulle nostre vite non sempre è atto di debolezza.
Due maglie strappate da Sensi nel primo tempo che riesce a chiudere la gara senza essere ammonito. Misteri di un regolamento che si piega come una fisarmonica tra arbitri sempre troppo individualisti. Fino a che non ci sarà uniformità, ci saranno sempre polemiche. Chi ci spiega perché Jorginho viene ammonito al primo fallo e Sensi, che solo nel primo tempo ha steso chiunque si avvicinasse all’area di rigore, ha goduto di totale immunità? Fa parte forse del nuovo Governo?
Tre espulsi dalla panchina, mentre un Berardi indemoniato aizza il pubblico di casa (quei pochi intimi, sommersi dai sostenitori azzurri). Specchio di una foga agonistica mai vista in stagione nella squadra più abulica di tutto il campionato. Per il Sassuolo non è stata una gara come le altre, e la cosa più fastidiosa è pensare ad un campionato dove le squadre scelgono dove dare di più e dove dare di meno, accostando ai bordi della strada per scansarsi. Con la coscienza, però, non funziona come con il parcheggio in doppia fila, che accendi le quattro frecce e ti senti innocente...
Quattro punti di distacco dalla Juve come le quattro occasioni abbastanza clamorose fallite da Insigne. Sembra esserci ricamata una storia tra questi numeri che in parte raccontano una grande verità: la differenza di organico tra azzurri e bianconeri. Così come a San Siro Insigne perde senno e lucidità davanti alla porta, confermando un momento opaco. Nella Juve probabilmente avrebbe giocato qualche gara in panchina, o magari sarebbe stato rilevato da Cuadrado al 60’. Nel Napoli deve giocare. Per forza. Quei quattro punti e quei quattro errori sono stati generati dalla stessa madre. Sono in un certo senso gemelli, sono stati generati nutrendosi della stessa mancanza.
Cinque gare ed appena due vittorie. Dopo la trasferta di Cagliari nel Napoli qualcosa è cambiato, la perfezione degli automatismi ha subito un impercettibile cambiamento testimoniato dai risultati: due pareggi contro Inter e Sassuolo, la sconfitta con la Roma e la vittoria sofferta contro il Genoa. È un Napoli che si guarda allo specchio e non sempre si riconosce ed il Koulibaly di Sassuolo è la traduzione di questo smarrimento. Mai visto in stagione un Kalidou così lontano dal senso di onnipotenza che è solito propagare nel suo raggio d’azione. Doppia personalità che a confronto Leonardo Di Caprio in Shutter Island era un tipo equilibrato.
Sei al coraggio di Mario Rui. Sbaglia, sbaglia ancora, eppure non si lascia turbare. Ci prova fino alla fine, cerca la giocata ed anche il dribbling. Mentre qualcuno gioca a nascondino, l’esterno ci mette la faccia ed anche qualcosa che sta molto più in basso. Da un suo traversone nasce la rete che evita la sconfitta agli azzurri. Se tutti avessero avuto la sua stessa fame, oggi staremmo raccontando un risultato diverso. Certi status rischiano di ammorbidirti, di toglierti quelle motivazioni che invece bruciano in chi si sente di dover dimostrare ancora tanto.
Sette ad una lezione che a qualcuno non vuole entrare in testa: l’importanza di chiamarsi Marek in questo sistema. Fuori con la Roma, out dopo 20’ con il Genoa, in panchina contro il Sassuolo: Hamsik è un’assenza che non si riesce a metabolizzare. Sul piano tattico, degli equilibri, della capacità di posizionarsi dove è necessario. Anche quando sbaglia è in qualche modo fedele al sistema e per questo Napoli il sistema è la cosa più importante, la garanzia di rendimento, l’ancora che ti conferisce stabilità quando il mare spinge forte. Baluardo del Sarrismo più di quanto si possa immaginare e forse comprendere.
Otto gare come esercizio mentale, come test psico-attitudinale. Soli con se stessi, senza termini di paragone o classifiche da guardare. Niente più storie da raccontare o alibi a cui aggrapparsi, soli nel confronto con la propria natura. È un Napoli che può reagire? È una squadra che può dimostrare di poter superare i novanta punti in scioltezza? Restano otto sfide dove conteranno gli uomini più che i calciatori. Dove conterà il carisma, la capacità di prendere le giuste decisioni nei momenti decisivi. Il potere è responsabilità che bisogna dimostrare di saper gestire, gli stipendi milionari impongono di essere determinanti quando conta davvero. Non può finire già adesso. Non è finita se nel cuore resta accesa la speranza, che è come la custodia di un padre che resta con te, anche quando passa ad altra vita.
Nove come un vero nove. Che fa a sportellate in area di rigore, che contesta ogni oggetto volante non identificato in area di rigore. Arek è il make-up artist che cambia faccia al Napoli, nasconde le imperfezioni del viso e punta alla sostanza. Si piega come un foglio A4 per provare il gol che avrebbe mandato una cartolina alla sfortuna che per troppo tempo gli ha negato la gioia del campo, consegna a Sarri un importante atto di partecipazione per questo finale di stagione. Un vuoto per troppo sottovalutato, un’iniziazione di fisicità provvidenziale per un Napoli che sembra aver bisogno in alcune gare di semplificare le cose. La bellezza in qualche modo ti consuma, ti logora. La semplicità di un pallone calciato in area in cerca del centravanti, può essere una soluzione importante. Bentornato Milik, prendi ago e filo e chiudi troppe bocche che hanno spruzzato veleno in questi mesi…
Dieci a quelli che non hanno mai smesso di incitare il Napoli, senza insultare il Sassuolo. Questa è la differenza con chi, invece, si ricorda del Vesuvio durante la gara con il Milan. Pochezza culturale che ormai non stupisce, miseria di un animo logorato e viziato da un odio difficilmente comprensibile. Cori che alla fine nemmeno sentiamo più, che non ci toccano perché ‘il peso delle parole dipende da chi le dice’. Dal nulla non arrivano offese, solo un senso di compassione. Il voto più alto nella trasferta di Sassuolo lo meritano quegli ottomila cuori, che hanno portato a casa un piccolo dispiacere che in nessun modo andrà ad intaccare la loro fede. Tifare Napoli non è una questione di opportunità, ma semplicemente una necessità imposta, che trascende ogni tipo di risultato e che digerisce ogni tipo di delusione.
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