Da 0 a 10: la frase che inchioda Conte, Lukaku firma nuovo contratto, l'osceno sacrificio e l'oltraggio a Simeone
Zero a zero. Sì, poteva finire zero a zero. Così come altre gare che si era vinto per 1-0. Purtroppo è così: se lasci il risultato danzare sulla linea dell’equilibrio, ti può andare spesso bene, ma pure male. E mentre il Napoli ondeggia in quella sottilissima striscia di confine tra cinismo e fortuna, tra coraggio e timore, tra speculazione e propositività deve fare i conti con qualche fragilità. Che già c’era, che si pensava potessero essere curate col tempo, e che invece restano ancora lì, E sembrano più grandi, quando perdi senza mai dare la sensazione di poter vincere.
Uno il sacrificio di Conte. Sacrificata al Dio Scudetto la Coppa Italia, pugnalata l’unica altra competizione in cui si compete con una rosa che è più forte di quanto il tecnico si ostina a raccontare da mesi. Basti guardare cosa sta facendo Baroni con la Lazio per comprendere, o almeno porsi qualche domanda, che in fondo è la strada migliore per capire. Che senso ha avuto, lanciare undici perfetti sconosciuti, nel senso che il campo insieme non l’avevamo mai visto, a immolarsi solo per portare avanti una teoria viziata della ‘rosa non all’altezza’. Dele-Bashiru è meglio di Folorunsho? No.
Due punti dall’Atalanta, meritatamente in vetta. E non pensiamo che aver perso la testa della classifica sia poi un male incurabile, anzi. Tirare la volata logora, ti espone al vento ed alle pressioni che tutti volevano scaricare sul Napoli. Meglio depressurizzare, come un sub dopo una lunga apnea: così abbiamo vissuto questi primi tre mesi e mezzo di stagione. Tocca ad altri, ora, portare il fardello di un primo posto, che come l’anello del potere dell’Universo di Tolkien, può conferire un potere immenso, ma pure svuotarti di ogni energia. Portalo un pochino tu Gasp.
Tre minuti oltraggiosi per Simeone, che in Coppa aveva pure segnato. Stesso trattamento per Folorunsho, che in sei presenze in campionato ha totalizzato 31 minuti totali: la media è ridicola. Per non parlare degli ormai canonici 15' per un gioiello come David Neres. Nel giorno in cui si insediava sulla panchina azzurra, Conte dichiarava: “L’obiettivo è cercare di migliorare tutti i calciatori della rosa. Fino all'ultimo giorno di ogni carriera si può migliorare” diceva Antonio. Qualcuno in conferenza dovrebbe chiedergli: che fine a fatto quella promessa? Sta provando davvero a migliorare tutti? Facendoli entrare quando molti spettatori si erano già avviati al parcheggio a recuperare l’auto? Eddai.
Quattro sconfitte in stagione, tre in campionato e il ko in Coppa sempre con la Lazio. Solo nella gara col Parma (e con i ducali in dieci e senza un vero portiere tra i pali) il Napoli è riuscito a ribaltare una situazione di svantaggio. Ora non sono Esopo e non vorrei chiudere la favola con la formuletta ‘La favola insegna’, però una considerazione si può fare: quando prende un cazzotto, questa squadra accusa il colpo. Una volta messe in discussione le certezze difensive, tutto il sistema ne risente.
Cinque e mezzo a Lukaku, pronto a firmare nuovo contratto e raccogliere il testimone della famosa particella di sodio che vaga sconsolata nell’acqua Lete. Romelu non s’aiuta, ma il ciel nemmeno l’aiuta. Soffre di una solitudine sconfinata, col passare dei giorni ha visto Politano e Kvara allontanarsi sempre più, diventare quasi un puntino all’orizzonte. L’attaccante deve segnare, si dice. L’attaccante va messo in condizione di farlo. Andrebbe aggiunto. Pare De Niro in Taxi Driver: "La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c'è scampo: sono nato per essere solo”.
Sei calci d’angolo e uno soltanto battuto decentemente (e non a caso Anguissa ha colpito il palo). Con quei Corazzieri a centro area, gente che super i 190 centimetri, il Napoli riesce nell’impresa di non fare un cross decente, sperperando occasioni potenziali con cross sempre mosci e fuori misura. Curare i dettagli è uno degli aspetti a cui Conte è più legato: il particolare non sarà sfuggito neanche a lui.
Sette come il settimo attacco del campionato: CastelVoltHouston, abbiamo un problema. Questa squadra segna davvero poco, un trend ormai consolidato dopo quindici turni. Gli attaccanti non fanno gli attaccanti, il 4-3-3 è più fasullo di uno dei documenti di Di Caprio nel film ‘Prova prendermi’, Conte fa prevalere sempre la prudenza alla spregiudicatezza. C’è da lavorare su varianti tattiche, ma in primis ampliare la propria mentalità e ridare a certi calciatori la giusta collocazione in campo. “La sensazione estetica può diventare una scienza e l'originalità essere coltivata come una disciplina” scriveva Pessoa. Abbinare estetica e rigidità all’originalità di un esecuzione troppo monocorde deve essere il prossimo obiettivo. Va bene non prenderle, ma bisogna pure provare a darle.
Otto gare al Maradona, due perse nelle ultime tre. Anche questo dato può far germogliare un pensiero, relativo agli scontri diretti. Al Maradona ko con Atalanta e Lazio e vittoria contro una Roma che era a pezzi, in trasferta pari sul campo della Juve e su quello dell’Inter, con vittoria a San Siro sul Milan. Insomma, quando c’è da fare la partita, si va un pochino in difficoltà, quando c’è da star lì e poi provare a far male, gli azzurri si trovano più a loro agio. Tutto è collegato, come ci insegnava la pellicola visionaria Cloud Atlas, ai problemi d’attacco e alle poche idee. “Siete solo delle gocce in un oceano. Cos’è l'oceano? Se non una moltitudine di gocce…”.
Nove calciatori nella propria metà campo, ma alla Lazio bastano il lancio di Noslin e la sterzata di Isaksen per mandare in frantumi il piano difensivo azzurro. L’azione del gol è una somma di eventi, nessuno di questo può essere bollato come sfortunato. Lobotka esita e non fa fallo, Olivera fa ancora peggio, prima non accorciando su Isaksen, poi calcolando malissimo la traiettoria del lancio che poteva intercettare al volo, se solo ci fosse andato col piede debole (il destro). Una disattenzione che paga a prezzo carissimo, trovando la sfortunata deviazione sul tiro che batte Meret. La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.
Dieci presenze consecutive da titolare, dopo l’esordio a gara in corsa a Cagliari, e mai una sostituzione. MAI. McTominay ha giocato titolare con la Juve e poi non aveva mai più saltato manco un secondo di gioco, più utilizzato dell’aggettivo ‘Geniale’ ad un raduno di radical chic col maglione a collo alto e l’asta dell’occhiale da tenere rigorosamente tra pollice e indice. Scott ha corso, più di tutti, sempre, poi è arrivato il conto, perchè arriva sempre il conto. Se dai tanto, forse troppo, alla fine un giro lo devi saltare. Possibile che lo scozzese non meritasse di riposare prima? Possibile che non ci fosse nessuno meritevole di giocare una ventina di minuti al suo posto? Con la Lazio McT viene sostituto per la prima volta, dopo una gara giocata senza lucidità. E no, nemmeno questo è un caso.
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