Da 0 a 10: Spalletti si è dimesso, ADL annuncia il 1° acquisto, sorpresa Giuntoli, la scoperta sconcertante su Meret
Zero alla distanza tra due momenti al Dall’Ara. Zenit e Nadir nell’orizzonte astronomico di un pomeriggio ancora adombrato dai cori delle solite bestie, mentre dalla curva dei napoletani si issava il messaggio “Avanti Emilia Romagna, non mollare”. Basterebbe avere un cervello, prima ancora un cuore, per rendersi conto di quanto tutto ciò sia ripugnante, inadeguato, offensivo per chi ancora si perde in mezzo a queste cazzate. Napoli ha un cuore che basterebbe a tenere in vita l’intera popolazione mondiale, dove non c’entra l’odio, che porta nelle sfumature del proprio dialetto le storie d’amore con i popoli che ha incontrato ed accolto. Una differenza, abissale.
Uno come il turno che manca alla fine del campionato. Con la Samp al cielo la Coppa Scudetto, in volo i desideri e i sogni di chi ha già il cuore altrove. Condiamo il tutto con l’addio al calcio di Quagliarella, un mix esplosivo di emozioni da custodire per sempre nella cassaforte della memoria. Perchè c’è una cosa che vi dovete ficcare in testa: niente, ma proprio niente, potrà intaccare il ricordo di un campionato da dominatori assoluti.
Due reti subite ed una scoperta sconvolgente: si può prendere gol anche senza Meret tra i pali. Perchè spesso si sceglie un colpevole, che è quello meno simpatico, meno da copertina, che non si fa i selfie alle feste con la gente giusta, che non ha gli amici giusti. Gli si appiccica addosso un pregiudizio, le accuse prestampate come i moduli all’ufficio postale, e si cavalca l’onda dell’analisi mediocre, vero male di un calcio inondate da presunti esperti, aspiranti analisti, incapaci di professione. Lo starter pack di Bologna con Alex in porta: “Eh ma doveva respingere meglio il tiro di Sansone. E ma poteva uscire sull’angolo”.
Tre sul braccio, un graffio che è un viaggio a ritroso verso l’anima. Spalletti ed il tatuaggio, che è ben oltre che un segno sulla pelle. È un grazie eterno, un senso di apparenza che non teme la distanza. Un saluto, magari un addio, un modo concreto per tramutare le parole in un gesto così eclatante da lasciare senza parole. Comunque vada, dovunque vada, ci sarà Napoli marchiata a fuoco sull’uomo, sul tecnico, sulle idee di un Luciano capace di un’impresa storica. Puoi togliere un Luciano da Napoli, ma non potrai mai togliere Napoli da un Luciano tatuato. Anche dopo la scelta di consegnare le sue dimissioni in quella cena con De Laurentiis...
Quattro-quattro, ovvero 44 i minuti giocati in A da Gaetano in stagione, mai da titolare, nemmeno nella gara che sembrava avere l’identikit giusto per una maglia dal 1’. “Gaetano diventerà uno dei più grandi centrocampisti” diceva l’11 febbraio scorso Spalletti, apprezzamento a cui non ha mai dato seguito nelle sue scelte. Come un finale di Grey’s Anatomy senza il lieto fine: "Prendi me, scegli me, ama me!”. E alla fine viene scelto sempre qualcun altro.
Cinque all’arroganza di Thiago Motta. “Abbiamo fermato il Napoli? No, loro hanno fermato noi!”. Frase insensata per una due di motivi: il suo Bologna rimontava da 0-2, il suo Bologna ha 36 punti in meno del Napoli. Figlio di questa nuova comunicazione, che devi mostrare la personalità, digrignare i denti che fa più figo. Che puoi dire anche una stronzata, ma è sintomo di carattere, di leadership e tutti fanno si con la testa come ai raduni motivazionali di network marketing. Eccessivo.
Sei libero. In serata arriva l’annuncio di De Laurentiis, che liquida, apparentemente senza rancore, Spalletti: “Luciano vuole un anno sabbatico, lo lascio libero”. Bisognerebbe ora andare a caccia del confine, tra sincerità e diplomazia, tra messaggio subliminale e reale condivisione della scelta. ADL chiarisce due punti: che Spalletti va via e che Spalletti starà fermo. Che c’era un contratto col Napoli, che non si può nemmeno pensare di andare altrove. Una verità che mano a mano andrà evaporando, con i soli protagonisti a conoscerne tutte le sfumature. Si lasciano così, come due pescatori assopiti all’ombra dell’ultimo sole, ognuno con le proprie esche, con la solitudine dei propri ami restati senza preda. Che peccato. E nel frattempo Aurelio ha annunciato pure il primo acquisto: prendo un Giapponese.
Sette giorni per decidere il futuro di Giuntoli ed anche qui un chiarimento: è Cristiano che vuole andar via. Punto due: non è mica scontato che De Laurentiis soddisfi questa richiesta. Esiste un contratto, cifre pattuite, progetti, scadenze. Il 2024 è il termine che le parti, insieme, avevano concordato. Magari andrà alla Juve, magari Aurelio lo blocca: chi esclude qualsiasi tipo di scenario, sembra non conoscere ADL che al valore dell'inchiostro su carta crede in maniera ossessiva. Nessuno esclusa un finale a sorpresa.
Otto alla stagione di Kim, che becca il giallo e salterà l’ultima al Maradona. Chissà se lo rivedremo con quella maglia, con quella clausola che pende sulle testa come una mela su capo di Newton. Cadrà? Probabilmente sì. Sì poteva fare diversamente? Difficilmente. Perchè l’estate scorsa nessuno avrebbe pensato che 60 milioni sarebbero diventare spesa ridicola per un difensore come Min Jae. Un aspetto va chiarito: la clausola si attiva con la volontà del calciatore. In sintesi: se va via, è perchè vorrà andar via. E più volte in questa stagione il Napoli ha proposto di rinnovare ed eliminare quella clausola.
Nov…Anta punti. Questo il punteggio massimo realizzabile battendo la Samp, con Spalletti che vede sfumare l’obiettivo di stabilire il record storico di 92 punti e sorpassare Sarri. C’è una sorta di maledizione su quell’annata, consacrata alla memoria, un Feticcio contro il calcio marcio che doveva evidentemente restare intatto, insuperato, vivo. A questo Napoli lo scudetto, a quel Napoli la Nomination come per i migliori effetti speciali di un campionato col Verme. Il tempo custodisce le grandi imprese, quelle riuscite, quelle che senza arrivare a destinazione hanno comunque segnato un’epoca. Le ingiustizie hanno la capacità di donare a chi le subisce la memoria eterna. Forse era giusto così…
Dieci a Osimhen, che è come le regole del Fight Club: che non ne devi parlare a nessuno, che il Fight Club non esiste, ma poi ti ritrovi col viso gonfio e Victor che t’ha tirato due ceffoni senza nemmeno farsi vedere. E speciale Osi, che copre distanze ad una velocità che gli altri nemmeno immaginano, che non conosce il senso della sazietà, che non smetterebbe mai di rincorrere un pallone e fargli fare l’amore con la rete. Una doppietta per toccare quota 30 gol in stagione, per confermarsi il Re di questo campionato: “I grandi Re del passato ci guardano da quelle stelle”, ricordava Mufasa a Simba. Dategli il Trono. Nel segno e sotto lo sguardo di Diego
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