Da 0 a 10: l’occasione incredibile di Manna, l’effetto Viagra di Conte, la confessione di Di Lorenzo e il dato assurdo su Lukaku

Zero rumore, solo un silenzio che non è altro che un ponte. Per arrivare da Diego, per stringerlo tutti assieme, con un calore che è una fiamma, una luce, una vita che s’è spenta troppo presto. Il Maradona collassa dentro al buco nero di un ricordo, si unisce ad un dolore che non può non essere comune. Diego aveva quattordici anni, Diego c’era cresciuto in quello stadio, Diego sognava di giocarci un giorno lì dentro. Ed alla fine eccolo il sogno che s’avvera, calciare quel pallone nel tempio pagano in cui si era formata la sua fede. È stato un saluto che non è un saluto, una pietra da inserire tra le pietre che reggono lo stadio stesso. Un pezzo di Diego, i suoi 21 grammi di pura essenza, sono lì. Saranno lì. In un per sempre che non conosce sosta.
Uno come l’anno di riflessione che Conte ringrazia pubblicamente: "Oggi mi sento molto più forte, tutto quello imparato l'anno scorso l'ho messo in pratica” dice, riferendosi ad una malleabilità anche sul piano dei moduli, mai sperimentata in precedenza. Era stato accolto a Napoli col patentino di estremista, cultore del 3-5-2 senza nessuna apertura verso altri credi, invece ha giocato praticamente con ogni sistema di gioco possibile, badando più a soddisfare l’esigenza del momento, che a nutrire il suo ego. C’è poco da discutere su questo: senza Conte questa squadra avrebbe almeno dieci punti in meno. La sua voglia di migliorarsi, quando già era considerato da tutti tra i migliori, spiega perchè abbia vinto tanto.
Due anni di contratto, punto. Così avrebbe dovuto rispondere Manna alle domande sul futuro di Conte, da società che non vuole impantanarsi nel chiacchiericcio dei giornali, nelle voci di corridoio, nei cugini che hanno confidato ai cugini di avere una notizia certa, che gliel’aveva detta un altro cugino. La posizione del club dovrebbe essere chiara, netta, perentoria. Non perchè nel pallone non possano accadere le cose più improbabili, ma semplicemente per rimandare i discorsi a quando sarà necessario affrontarli. Tanto l’abbiamo capito, il Napoli ha l’effetto Viagra per alcuni club: lo scorso anno Conte nessuno lo voleva, ora sono tutti Antoniosessuali.
Tre punti che hanno dentro tante cose, verità e bugie, sentenze e appelli, confini su cui bisogna necessariamente danzare quando si prova a spiegare una partita che si gioca con una palla che rotola, mai nello stesso modo. Il primo tempo del Napoli è glaciale, tira due pugno al diavolo che pare non aver nessuna voglia di rialzarsi. Questa mancata risposta dei rossoneri, ha l’effetto contrario: i ragazzi credono che sia finita, staccano la spina e poi diventa sempre complicato riattaccarla. Il finale è una sofferenza straziante, come sbattere il mignolino del piede di notte mentre cammini al buio. Come diceva Buddha: “La sofferenza è la porta d’ingresso alla saggezza”. Ma non si potrebbe almeno citofonare?
Quattro-tre-tre. Respirarlo, sentirlo dentro, come quando torni la domenica da mamma e l’odore del ragù ti dona una sorta di super potere, un mantello invisibile che ti fa consente di sentirti a tuo agio, a casa tua, come se mai l’avessi abbandonata. C’è un feeling particolare, il suono giusto che fanno due pezzi che combaciano alla perfezione, la percezione immediata di una familiarità con un modulo che è ormai uno status per il Napoli, da un decennio a questa parte. Tutto sembra funzionare in maniera più spontanea, più vera, senza forzature. È un peccato sacrificare l’ottimo Raspadori di queste settimane, ma il prezzo da pagare per ciò che togli agli altri è troppo alto.
Cinque alto e abbraccio forte a Conceicao, che ci concede il lusso di tenere Leao in panchina per un tempo e, ancor più sorprendentemente, lascia Pavlovic sul terreno di gioco per tutta la gara. Un disastro l’allenatore del diavolo (il secondo), così come tutta l’intera stagione di un club che in estate aveva snobbato l’attuale tecnico del Napoli, perchè Ibrahimovic non voleva il manager (temendo di esserne offuscato). Milan battuto due volte su due, perché Conte è come Rambo: “Dio Perdona, Tonino no”.
Sei dietro e tutti a difendere. Sono brutti gli ultimi venticinque minuti, così differenti dalla squadra organizzata e aggressiva che si era vista nel primo tempo. No, nessuno parli di condizione atletica, di preparazione, di gambe pesanti. Ciò che pesa, e ne abbiamo ormai più prove, è la testa: l’ha confessato pure Di Lorenzo nel dopo gara, parlando ‘di ansia’ che ha colpito la squadra nel finale. Il ricordo del disastro dello scorso anno è ancora lì, dietro l’angolo, a volte riappare come il munaciello dispettoso pronto a rovinarti i piani. Pure Conte non manda gli input giusti con i cambi, tardivi e troppo difensivi. Su questo c’è da limare qualche dettaglio.
Sette e mezzo alle cose che non ci possono comprare, per tutto il resto c’è il Capitano. Tra le cose senza prezzo ci mettiamo sicuramente l’intelligenza calcistica di Di Lorenzo, che scaglia la freccia verso Politano col tempismo del venditore ambulante d’ombrelli, che alla prima goccia è già lì con la sua merce in esposizione. Perfetto nell’assist Giovanni, ancor di più in alcune chiusure, la più bella quella su Leao al minuto 60’. Ha giocato tutti i minuti a disposizione delle trenta gare di campionato, tutti ad un livello alto: dedito alla causa più di dei fujenti della Madonna dell’Arco.
Otto ancora da giocare ed il Napoli è a -3 dall’Inter. Ma come è successo? Una squadra che non aveva l’attaccante? Ancora lì! Ci deve essere un errore! Quante sciocchezze son state dette e scritte su Lukaku, che si guadagna la pagnotta pure col Milan, salendo a quota 11 gol in classifica a cui vanno aggiunti 8 assist. Quando Big Roma segna, il Napoli sa solo vincere: è accaduto in tutte le partite col belga a segno. La questione è stata sempre impostata nel modo errato, con tutti lì a chiedersi cosa potesse fare di più Lukaku per la squadra. In pochi, però, si sono chiesti cosa la squadra potesse fare di più per Lukaku. Quando i palloni arrivano, bellissimo quelli di Gilmour, il cartellino Romelu lo timbra.
Nove a Meret, con la resistenza del tardigrado: l’animale che in natura è capace di sopravvivere in condizioni estreme. Sarebbe da studiare la forza di questo ragazzo, divenuto vittima della tendenza dei giorni nostri alla polarizzazione: o sei PRO o sei CONTRO. Campagne mediatiche che nemmeno sotto i regimi, l’hanno spesso descritto come uno incapace di parare, eppure anche quest’anno è tra i migliori per rendimento. Non aizza le folle, non fa dichiarazioni roboanti, non ha tatuaggi da rock star, ma fa ciò per cui è pagato: para. Ci sono le sue mani su questa vittoria per il rigore parato a Gimenez.
Dieci al guerriero di fiducia di Conte. C’è ancora tanto Politano in questa vittoria, col mancino che squarcia in due la tela della partita dopo appena 2’, quando la fatica non prende il sopravvento e Matteo può ricordarsi, e ricordare, che di mestiere farebbe l’attaccante e sarebbe pure molto bravo. Il suo compito però, quest’anno, non è solo quello. C’è da donare equilibri, far quella fascia su e giù, bisogna mettere da parte i personalismi. Un pochino come Oriali, pur non facendo il mediano: giocare generosi. Se cercate maglie sudate, a casa Politano potrete trovarne un’infinità. Bravo, bravissimo.
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