Da Zero a Dieci: la tortura della goccia cinese, le devastazioni sul prato di Ghoulam, la richiesta urgente all'Unesco, Higuain ed il colpo vietato a Bizzarri

(di Arturo Minervini) - Zero a chi, dopo il gol a freddo, avrà pensato: “E’ finita”. Zero perché questo pessimismo può appartenere a chi davvero non ha ancora viaggiato ed investigato nella struttura genetica di una squadra che è capace di non lasciarsi influenzare da quello che indica il tabellone. Come il Dio Vulcano il Napoli, mosso dal rovente magma che chiede vendetta, inizia a martellare sull’avversario senza guardarne blasone o colori. La macchina costruita da Sarri è a ciclo continuo, come quelle che tormentavano il malcapitato Charlie Chaplin in “Tempi Moderni”. Rivoluzione epocale.
Uno come il minuto, appena sessantaquattro secondi per l’esattezza, che passa dall’errore di Chiriches. Come Roger Rabbit, dopo essere stato investito da un rullo compressore, il rumeno scava nel suo destino per trovare una serata da assoluto protagonista. Nel male e nel bene, con la zuccata che consente agli azzurri di mettere la freccia. In una maratona non è il primo passo a determinare il vincitore. E’ la costanza che metti nell’arrivare per primo al traguardo.
Due le dita fratturate del povero Bizzarri, dopo la malsana idea di opporsi alla saetta di Higuain scagliata al minuto 66’. L’occidente non tremava così tanto da quando Chen (alias Bruce Lee) si era messa ad urlare senza motivo. Solidarietà e stima per il portiere del Chievo per l’atto eroico: poteva rimanere offeso come il mitologico Rezzonico.
Tre reti segnate dal Napoli, dopo averne segnate tre nelle ultime cinque precedenti uscite. C’è però una costante che infastidisce: come nelle altre gare, le marcature potevano essere molte di più. E’ uno dei difetti di questa squadra, che si guarda allo specchio ed in certi casi finisce per l’essere travolta dal senso dell’estetica, bearsi delle proprie convinzioni, peccando di quella vanità che spesso è incompatibile con la felicità. In zona gol bisogna essere affamati come uno Zombie che incontra Rick Grimes nel giardino di Alexandria.
Quattro assist in campionato di Jorginho, quattro anche quelli di Ghoulam. Ordinato il primo contro il Chievo, straordinario il secondo nella notte del San Paolo. Su un prato verde nessuno faceva così danni, agli avversari, dai tempi dell’ottava piaga d’Egitto. Una vera condanna per i clivensi, incapaci per tutta la gara di opporre una reale resistenza alle sgroppate dell’algerino. Che sia una di quelle serate magiche lo si capisce al 44’ quando sfiora il gol, inquadrando la porta con un sinistro da lontanissimo. Non accadeva dalla sua prima volta da titolare in maglia azzurra, il 5 febbraio 2014 sul campo della Roma in Coppa Italia. Faouzi è sempre lì, ai piedi di quella scalinata che potrebbe davvero portarlo ad essere uno dei migliori in Europa nel ruolo. Deve solo trovare la forza mentale per salire fino in cima.
Cinque punti di vantaggio sulla Roma. Respira il Napoli in ottica Champions, sogna il Napoli agganciando momentaneamente la Juventus. Inutile star qui a ribadire l’eccezionalità del cammino, opportuno sottolineare la glacialità di una squadra che a secco di vittorie da cinque gare, va sotto subito ma non va mai sotto con la testa. Cadere, rialzarsi, esultare: è una sequenza vista troppe volte per affidare il tutto al puro caso. Più opportuno parlare di un vero biglietto da visita. Segni particolari: attributi giganti.
Sei gare consecutive con un gol al passivo. Questo il dato più amaro post-Chievo, con una rete che nasce dalla dormita di Chiriches e da un’altra sbavatura di Pepe Reina. Errori di singoli e valutazioni poco opportune che non possono appartenere ad una squadra che nella sua solidità ha rinsaldato le convinzioni e messo nell’armadio i fantasmi del passato. Un antico adagio giapponese recita: “Tutti commettono errori. E’ per questo che c’è una gomma per ogni matita”. Non sarebbe più semplice evitare di scrivere cavolate?
Sette all’arroganza esaltante di Koulibaly. Quando esce palla al piede dopo aver annichilito un avversario pare Tony Manero che va a “Fottersi il mondo”. Quando contrasta uno speranzoso attaccante diretto verso la sua area, annullandolo, ricorda un personaggio degli Avenger che mette in mostra tutti i suoi super poteri. Gioca ad un livello differente di fisicità, in un match che è davvero ad armi impari. Per gli avversari. E’ un Superman che ha nei cali di concentrazione la sua kryptonite nella borsa. Quando la spia è però sull’ON passarlo è più complicato di fare una passeggiata da Berlino Est ad Ovest prima della caduta del muro.
Otto all’atteggiamento del Chievo, che per non appesantire le spese del viaggio partenopeo evita di pagare il parcheggio del bus nella propria area. Bravo Maran a giocarsela a viso aperto, provando a fare male al Napoli cercando di prendere colpi e darne al proprio rivale. Il problema, per loro, è che sul ring ci sono da un lato uno spietato Rocky Marciano in maglia azzurra, e dall’altra il caposquadra Bigotti, campione a modo suo di pugilati, del mitologico “Pompieri”.
Nove è uno slot monopolizzato. E’ l’antica tortura della goccia cinese: un uomo immobilizzato ad una sedia, con una goccia d’acqua che gli cade sulla fronte, sempre nello stesso punto ed ad intervalli regolari. Roba che ti porta alla follia. Roba targata Gonzalo Higuain, quella malefica goccia inesorabile. L’avversario è immobile, può fare poco o nulla, deve solo attendere il momento che quello schizzo d’acqua tornerà ad invadere la sua fronte. Fate 26 gocce cadute in 28 gare di campionato. Ai poveri difensori del Chievo servirebbero altre gocce: quelle per il mal di testa. Fermate il Pipita: è oramai uno strumento di tortura.
Dieci all’azione della rete di Callejon. E’ un vortice che incanta, quello che parte dai piedi di Reina, con il pallone che disegna geometrie sul prato come fosse un pennello guidato dalle mani di Monet. Ad impressionare in questo caso è però la sinfonia del tutto, gli strumenti che insieme diventano orchestra nella più adorabile delle esecuzioni. La sublimazione del calcio di Maurizio Sarri in pochi tocchi, Marek che divora il campo aperto (a proposito, la sua apertura per Insigne al 41’ andrebbe candidata assieme alla Pizza come Patrimonio dell’Umanità all’Unesco), Allan che studia la situazione, Callejon che è puntuale all’appuntamento come Max Pezzali che arriva mezz’ora prima sotto casa del suo Mito. C’è tutto il Napoli in pochi secondi. C’è tutto un mondo in un solo gol. E c’è solo da stare lì a mandibola spalancata, proprio come davanti ad un’opera d’arte.
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