Da Zero a Dieci: Ancelotti minaccia Dries, 150 mln in fuga, lo schiaffo di rovescio di Milik ed la giocata misteriosa di Insigne

Da Zero a Dieci: Ancelotti minaccia Dries, 150 mln in fuga, lo schiaffo di rovescio di Milik ed la giocata misteriosa di InsigneTuttoNapoli.net
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sabato 3 novembre 2018, 12:24Zoom
di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero a quelli che danno aria alla bocca come per suonare le trombe dell’apocalisse, senza capirci molto di calcio e di momenti. La prestazione con la Roma era stata super, ma qualcuno aveva storto il naso per darsi l’aria del radical chic, insistendo sulle zero reti segnati frutto esclusivamente di una serata storta, non dell’avaria di un sistema che aveva funzionato quasi alla perfezione. È il grande male del pallone, dei predicatori del giorno dopo: sempre costantemente in ritardo, sempre pronti ad orientarsi dove batte il vento. Bandiere senza coerenza, vessillo di un ipotetico spirito critico mortificato alla prima occasione utile. Volevate il centravanti. Forse ne avrete trovati almeno un paio. “Maestri tra color che non sanno”, Dante e Aristotele ci perdoneranno…

Uno il gol subito da Karnezis, che resta più fortunato di Jim Carrey ‘In una settimana da Dio’ inanellando la quinta vittoria su cinque presenze in campionato. Poteva anche far meglio il greco sul diagonale di Caputo, così come un reparto piazzato male nell’occasione. Una macchia in una serata perfetta che sa di promemoria per il futuro, l’orecchietta fatta sulla pagina di un libro che non bisogna mai dimenticare: se stacchi la spina il mondo ti punisce. Vale nel pallone ed in ogni santissimo giorno. Viviamo tempi di grande cinismo, questi atti di generosità non sono concessi. 

Due cambi che sono dichiarazione d’intenti chiarissima. Segna Caputo, poi l’Empoli trova una grande nuova occasione. Il San Paolo ruggisce, Ancelotti sbraita e si affida a due ‘closer’ come bel baseball per mettere in ghiaccio la partita. Entrano Allan e Callejon e tutto diventa spontaneo, come acqua che inizia a scorrere serena sul proprio letto. Normalizzatori eccezionali, capaci di far giocare tutti meglio per il solo fatto di esistere. Una dote innata di utilità al servizio dello scopo finale, anche senza dover necessariamente metterci la faccia. Due come pochi. Due che quando non ci sono vorresti che ci fossero. Proprio come il telecomando quando ti sei piazzato nelle sabbie mobili del letto e scopri di averlo dimenticato a dodici miglia di distanza. Essenzialità infilata dentro due corpi in moto perpetuo.

Tre punti con la spia del risparmio energico ben accesa. È un Napoli sornione, quasi irritante quello che mette alle corde l’Empoli nei primi 10 minuti e poi si ritrae nella propria zona di confort in attesa degli eventi. Come un uomo che dopo il primo bacio crede, erroneamente, che la sua donna già lo ami, il Napoli si culla sul vantaggio e su quel dominio assoluto mostrato in avvio lasciando spazio ai toscani ottimamente organizzati da Andreazzoli. Era gara da vincere senza sudare troppo, le grandi squadre sanno anche scegliere il male minore per poi scatenare le proprie individualità. Poi succede che quelli lì davanti altrimenti si arrabbiano, che al confronto Bud Spencer faceva carezze e l’Empoli se ne torni a casa col volto più tumefatto di quanto avrebbe meritato.

Quattro a centrocampo e Piotr largo a sinistra. C’è un piccolo rammarico nella notte del San Paolo, un talento che deve liberare tutta la sua travolgente forza che pare ora imprigionata dentro a mille dubbi ed una testa affollata dai pensieri. Zielinski deve cucirsi ancora addosso il nuovo ruolo, trovare il modo migliore per interpretare uno spartito che gli assegna compiti differenti. Non è questione di talento, ma di approccio al nuovo strumento. Resta questo grosso genio intrappolato tra le curve di una piccola lampada che deve essere accarezzata per liberarlo. Questa la prossima missione di Ancelotti: restituire brillantezza all’opaco polacco. “L’universo è pieno di oggetti magici che aspettano pazientemente il nostro ingegno per meglio autodefinirsi”. Piotr è sicuramente uno di questi.

Cinque reti che raccontano tante storie diverse, tutte a loro modo toccanti. La continuità di Lorenzo, il momento magico di Dries, la rivincita di Arek: facce di un cubo di Rubik da mille colori che trova il giusto ordine nel momento decisivo. Disegna nel cielo un’arcobaleno una notte così, dopo giorni di una pioggia che ha martoriato Napoli senza tregua e trasformando in tragedia la giornata di lunedì. Un pensiero nella notte va a chi è stato strappato alla vita in una maniera infame proprio a pochi passi dallo stadio San Paolo. Ciao Davide, dovunque tu sia…

Sei… nell’anima e lì ci resti per sempre. È stata quasi subito magia, per la pacatezza dei gesti, per la dolcezza delle parole poggiate con mano esperta sopra ogni episodio, anche il più scottante. “Non è vero che io mi sono preso Napoli, è Napoli che si è presa me” dice un meraviglioso Ancelotti a fine gara, dichiarazione d’amore di una bellezza quasi stordente per la sua semplicità. È proprio quello che accade ad ogni napoletano, l’essere rapito in maniera inconsapevole da questa dea dannata che ammalia, come le eroine dannate ed irraggiungibili dei romanzi noir. Napoli ti ha preso, ma tu Carlo ci sei entrato come un pugno nello stomaco per velocità e violenza dell’impatto. Un uomo universale che ha subito compreso un concetto fondamentale: “Dovunque sono andato nel mondo ho visto che c’era bisogno di un poco di Napoli”. Anche dentro al cuore di Carletto.

Sette minuti per usare l’esterno sinistro come fosse un guanto bianco per schiaffeggiare i vili avvoltoi che si erano scagliato sulla sua carcassa dopo la gara con la Roma. Tocca due palloni Arek ed uno lo trasforma nella quarta rete in campionato (Higuain è a 5, così per dire) che racconta l’istinto, la tecnica, la lucidità di un ragazzo che ha solo bisogno di tempo e fiducia. Ha le spalle larghe Milik, ma un cuore ristretto da un doppio dolore che ancora gli pesa al centro del petto. Paura meravigliosamente umana che merita rispetto ed ammirazione. Chi critica le caratteristiche tecniche e fisiche di un ragazzo del ’94 pronto ad esplodere, ci ha capito davvero poco di questo giochino. 

Otto ad una carovana di milioni in viaggio da Parigi a Costantinopoli manco fosse l’Orient Express. Ci sono i tratti epici di un viaggio incredibile nella cavalcata di quella statua di ebano che avvia la prima rete azzurra, un giacimento di petrolio che oggi vale almeno 150 milioni in movimento verso la porta avversaria. Si mangia avversari e campo in poche falcate, si permette il lusso di servire l’assist al bacio per Lorenzo come se quello fosse il suo mestiere abituale. Un buco nero capace di annullare l’esistenza di ogni forma di vita che graviti nei suoi paraggi. Così divinamente superiore che a volte si concede il lusso della superbia, ma gli Dei sono così. Devono avere un punto debole per accrescerne il tremendo fascino: così vuole la mitologia. 

Nove reti in stagione in 933 minuti. Numeri da fantascienza per uno scienziato del pallone, che misura alla perfezione l’angolazione dell’esterno destro per sbloccare il match. Famelico Lorenzo nell’infilare per primo le unghie nella carne dell’avversario, per aprire la prima ferita all’arcata sopraccigliare, quella che ti consuma lentamente come un pugile che perde lucidità alla distanza. Numeri che stanno diventano routine ma che devono essere celebrati, così come la crescita mentale di un campione che riesce ad abbinare una visione totalitaria del gioco, imponendo a tratti una vera egemonia. Come possa a tempo scaduto avere la lucidità per dare i giri giusti al pallone in profondità per la tripletta di Mertens resta un mistero più inspiegabile dei motivi che spingono certe persone ad andare in giro con le pantofole con il pelo. Quanto meraviglioso mistero in questo pianeta. Quanto Insigne in questo Napoli.

Dieci e non sai da dove iniziare, come quando i ricordi sono ancora vivi e rischiano di travolgerti. Chiudi gli occhi e vedi Dries lanciato in campo aperto, la schiena che si inarca come fosse il flettente di un arco pronto a scagliare la freccia che sfida le leggi dell’universo e fluttua fino all’obiettivo finale. Li richiudi e vedi ancora Mertens mirare il palo lontano con una facilità quasi imbarazzante, irriverenza tipica di chi dovrebbe avere appiccicata alla schiena l’etichetta ‘Trasporto eccezionale di talento’ quando circola in mezzo al campo. L’ultimo lampo è quello che chiude il cerchio perfetto, la trilogia memorabile di una notte che ha il sapore della rivincita. Alla faccia di chi voleva il top-player segna in campionato un gol ogni 88’ ed a voce alta enuncia il dettato per gli asini ripetenti: “Dries ha segnato 56 gol e servito 27 assist nelle ultime due stagione”, frase da scrivere almeno su dieci paginette. Ancelotti lo ha fatto arrabbiare, a questo punto gli consigliamo di minacciarlo di tenerlo fuori anche per la sfida al Psg. Immaginate cosa potrebbe combinare? Sei reti nelle ultime quattro gare, due gioielli assoluti contro l’Empoli e l'ultimo graffio di rapina. La Cina, le chiacchiere da bar e le critiche dei soliti noti ammutolite. Mertens si riprende il Napoli e lancia il guanto di sfida al Matador Cavani. La radio è accesa ad alto volume, la corsa è quella dei momenti migliori, il destro è più caldo del cuore di un vulcano. La colonna sonora suona: Don’t stop me now!