Da 0 a 10: Marocchi disperato, i cogl**ni girati di Spalletti, l’orgasmo in lungo di Kvara e l’offesa letale di Osimhen
Zero speranze per gli altri. Che attendevano, con le scarpine secretate nelle tasche, di riaccendere una fiammella di speranza. Il Napoli azzanna alla giugulare gli ultimi uccellacci (del malaugurio) e uccellini in versione pasoliniana che tornano a casa con un retrogusto amaro. Marocchi è il paziente zero del fenomeno delle transaminasi alle stelle geolocalizzato sopra il Garigliano. Come Marco Masini: Disperato.
Uno il segnale, che al confronto Massimo Decimo Meridio era un pacifista. Inizia la partita e il Napoli si schiera tutto sulla linea del centrocampo, come faceva la Roma di Zeman, che agli avversari pare di avvicinarsi alle porte dell’Inferno: “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”. È azzurra la vallata, non si accettano tonalità differenti, non c’è margine di negoziazione: questo non è un campionato, è un esercizio di stile. La storia siamo Noi, direbbe De Gregori.
Due pezzi di mela che combaciano: vedi Kvara e Osimhen e sembra di essere ad un Simposio di Platone, col racconto del mito degli androgini. “Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare” e non puoi che pensare a loro due, che si incastrano come pezzi di un puzzle separati dalla nascita. L’uno per l’altro, l’uno con l’altro, l’uno così diverso dall’altro che sembra poi essere praticamente identico. Un’anima gemella è chi ha serrature ove entrano le tue chiavi, e chiavi che aprono le tue serrature. Dividerli sarebbe contro natura.
Tre cambi, senza esagerare. Spalletti si farebbe torturare prima di ammettere che un piccolo pensierino alla Champions si sia infilato nella testa, giusto per fare qualche piccolo calcolo e risparmiare un pochino di fiato. E che poi c’è il campo a prendere il sopravvento, la bellezza straripante di una squadra che mette tutto in secondo piano, che posticipa ogni considerazione razionale. Togliere dalla gara Lobotka, Osimhen o Kvaratskhelia è un’offesa all’arte: come andare al Museo d’Orsay e non stare almeno mezz’ora a fissare La colazione sull’erba di Manet.
Quattro mosse d’anticipo per Lobotka, il Re degli Scacchi. Stan è sulla linea di passaggio di un passaggio che ancora non è nemmeno sulla testa dell’avversario, è a dar sostegno ad un compagno quando questo compagno ancora non sa di essere in difficoltà. È un x2 di un vocale su Whatsapp che si muove accanto a gli altri che vanno a velocità normale. Il prato verde è la sua scacchiera, tutto il suo mondo in quelle 64 case. “Mi sento sicuro lì, posso controllarlo, posso dominarlo ed è prevedibile".
Cinque secondi di giramento. Spalletti in conferenza vuol togliersi un altro sassolino dalla scarpa: “Ad alcuni ci vogliono 3-4 anni per costruire, io in un anno dovevo vincere. Vabbè che io vi sto un po' sui coglioni di più rispetto agli altri…”. Luciano fa una doppia grande operazione, mostrando grande rispetto per i senatori che non ci sono più ed evidenziando la bontà del suo lavoro già dalla prima stagione. Lucido, spietato, incazzoso al punto giusto. Potrebbe avere pure dei difetti, ma chi se ne frega.
Sei il Mapei o il Maradona? La seconda che hai detto. Giocare in casa, anche quando non sei casa. Render casa tua lo stadio altrui, inondare di un amore sconfinato uno stadio che non può che alzarsi in piedi alle perle del 77 e del 9. Incantesimo napoletano che azzera le distanze, che sembra di essere tutti sotto lo stesso tetto a covare un desiderio che adesso è uscito dal cassetto che ora si può guardare senza averne paura. Siamo napoletani, che sogniamo sempre il bello e “Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”.
Sette in fila per i Metallica che le suonano a tutti gli altri e ribadiscono un concetto: “Crediamo in ciò che siamo. E non importa nient’altro”. Dopo il ko con l’Inter una squadra normale avrebbe accusato il colpo, mostrato le sue fragilità, fatto qualche cattivo pensiero. Non è vero che la capolista se ne va. Non è corretto. La capolista quest'anno non l'hanno mai vista. Ha fatto una corsa a parte. Un campionato a parte. Giocato un calcio che non appartiene a questa Serie A: ‘A volte penso addirittura che Napoli possa essere l’ultima speranza per il nostro calcio marcio’.
Otto ad un concetto che è ancor più incoraggiante della pratica. Ad un’idea germogliata in quello spogliatoio, al senso di appartenenza e partecipazione ad un’impresa che sa di storia. Negli occhi di tutti la luce di un Leonida che alle Termopili viene colto da una visione fantastica, un sogno tricolore che va cullato di gara in gara. “Non è la paura a governarlo, ma solo una cresciuta percezione delle cose: l'aria fredda nei polmoni, i pini piegati dal vento della notte che incombe”.
Nove al genio ribelle, che pare di vedere Matt Damon in Will Hunting che scarabocchia una nuova formula della fisica alla lavagna. Osimhen segna un gol che sfugge alle convinzioni, un'offesa alle regole conosciute, ai capisaldi che regolano l’universo. Albert Einstein, che di regole qualcosa dovrebbe capirne, diceva: “La fantasia è più importante del sapere, perché il sapere è limitato”. Victor va oltre il sapere, come i calabroni che volano senza poter volare, lui da quella zona del campo potrebbe solo crossare e invece scaraventa uno scaldabagno alle spalle di Consigli. Pazzo. Completamente pazzo. E noi di lui.
Dieci alle muse che accompagnano nel suo correr miglior acque il veleggiare di Kvaratskhelia verso l’infinito. Restano sospesi i battiti, i respiri, i cuori, i piedi, le bocche penzolanti, le voci in cassaforte in attesa del boato. Attimi di eterno, da quel pallone raccolto a centrocampo fino all’altra parte della costa: salto in lungo dell’orgasmo, nuova disciplina olimpica made in Georgia. E Mentre quel 77 fa Kakà lì a centrocampo, tutti i suoi incredibili numeri in stagione diventano marginali, uno stupido dettaglio da ragionieri. Siamo già OLTRE l’arida statistica. Siamo in un caverna con pochi eletti, a imbrattare pareti che poi saranno opere d’arte. Il fuoco sacro dell’onnipotenza arde nel petto dell’imperatore Khvicha: è l’inizio di una nuova era.
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