Da 0 a 10: l’urlo shock dei tifosi, Motta asfalta ADL con una frase, lo scazzo di Anguissa e le vincite per Ndoye
Zero ai corpi, che parlano. Che inducono qualche spettatore a lasciare lo stadio dopo appena 15 minuti, perché l’amore sì, ma le prese per il c*lo no, non si possono accettare. C’era un messaggio esplicito nei corpi degli azzurri, negli occhi svuotati di chi ha perso il proprio scopo. E se perdi lo scopo, finisci per vagare in un limbo infinito fatto di pareti grigie e cuori spenti. Se vero è che ‘C’è una sola felicità nella vita: amare ed essere amati’, questa squadra ha fallito perché non ha ricambiato l’amore ricevuto. "Cacciali tutti Aurelio" è l'urlo del Maradona nel tremendo finale.
Uno davanti al microfono e tutti gli altri muti. Il responsabile della Comunicazione, Nicola Lombardo, che dovrebbe prendere le decisioni sulla Comunicazione, ci spiega come nessuno voglia parlare (facile così) e che De Laurentiis abbia accettato la scelta. Un viaggio nel metaverso azzurro, nelle incongruenze di una serie distocica che farebbe davvero concorrenza a Black Mirror. "Siamo talmente apatici che potremmo impazzire. C'è un limite alla nostra capacità di meravigliarci”. E di indignarci.
Due battesimi del gol, più scontati di un maglione di lana in vendita ad agosto. C’è gente che aveva ipotecato diversi appartamenti per scommettere sul primo gol in campionato di Ndoye, altro beneficiario della Onlus SSC Napoli, che dopo aver riesumato attaccanti dal cast di The Walking Dead, regala la prima gioia pure all’esterno del Bologna. I più temerari, poi, avevano puntato anche sulla prima gioia in 30 presenze di Posh: livello di vincita, schedina del Superenalotto giocata a Via Toledo. “Chi nun tene coraggio nun se cocca ch' 'e femmene belle”.
Tre cambi al minuto 81’ in un Napoli con gente che passeggiava come peregrini in cerca di se stesso nel cammino verso Santiago. Eppure, nonostante le visioni poco mistiche, Calzona non fa nulla. Attende 61’ per il primo cambio, uno soltanto. Come se gli andasse bene così. Come se volesse dimostrare qualcosa a qualcuno, o prendersi probabilmente una sorta di vendetta verso chi l’ha abbandonato, ad un certo punto della stagione. Questo suo precariato, con l’incarico part time, si è rivelato approssimativo, come se a un certo punto anche lui fosse stato rigettato dalla squadra come corpo estraneo. Quando? Nella sosta, prima della sfida con l’Atalanta, quando Ciccio è tornato a vestire i panni di Ct della Slovacchia. Biforcazioni velenose, come lingue di un serpente.
Quattro nomi, chissà magari altri nascosti, ed una convinzione che si accresce: servirà una scelta estrema dopo una stagione estrema. Servirà un tecnico che non guardi in faccia a nessuno, che dovrà azzerare la tolleranza verso un gruppo che ha tante, troppe colpe da espiare. È inevitabile, in un contesto simile, pensare che Antonio Conte possa essere la soluzione, se non l’unica, ai mali di una squadra che sgretolata come un asteroide entrato in contatto con l’atmosfera terrestre. Solo ‘Mazz’’ e niente ‘Panell' per chi non ha rispettato questa piazza.
Cinque metri sopra lo ‘scazzo’. Nella sua personalissima rivisitazione dei libri di Moccia, Anguissa scrive un romanzo in cui interpreta un uomo di 28 anni che vive una crisi esistenziale e motivazionale. Passeggia per il campo, come se la questione non lo riguardasse. Vive in un corpo che pare scollegato al compito che dovrebbe assolvere, come quegli adolescenti di Tre Metri sopra il cielo che si trascinano nelle giornate in attesa di trovare la loro direzione nella vita. Frank come Step, inquieto e dannato in tutte le incredibili contraddizioni di una stagione indecorosa.
Sei-sei-sei, non a caso il numero del diavolo. Al Maradona in 18 gare il Napoli ha vinto solo 6 volte, stesso numeri di pareggi e stesse imbarazzanti sconfitte. In casa i campioni d’Italia hanno differenza reti -3, la stessa del Frosinone allo Stirpe. Numeri impietosi, che avrebbero dovuto scuotere gli animi degli ‘scontenti’, che poi l’unico argomento che genera malumore nei calciatori è quasi sempre lo stesso: il vile denaro. Una viltà, evidentemente contagiosa.
Settecentoventi minuti in Champions, senza saltare nemmeno un minuto, 35 presenze su 36 in campionato (saltando un match per squalifica) senza mai essere sostituito. Questo accanimento terapeutico su Giovanni Di Lorenzo è inspiegabile, probabilmente spietato, senza dubbio illogico per quella che è stata la sentenza del campo. Il capitano, onore eterno a lui, è stato protagonista di una serie di errori imperdonabili, eppure non è mai stato messo in discussione. Non che dovesse perdere il ruolo da titolare, ma riposare ogni tanto male non gli avrebbe fatto. Pure per uno spezzone di gara. E invece no, e invece Mai. Usurato il povero Giovanni, che avrebbe avuto bisogno di rifiatare in qualche occasione. “Mazzocchi è un treno” disse ADL, ma è stato utilizzato con la frequenza del regionale per la stazione di Palma-San Gennaro.
Otto come l’ottavo posto che il Napoli non sembra in grado di difendere. La Fiorentina, che ha due gare in meno e un punto in meno, può mettere la freccia e sarà la prossima avversaria nella sfida di venerdì. Non ha più senso parlare di treni, d’Europa, di spiagge che sono le ultime, di motivazioni mai davvero esistite, di attributi mai palesatisi, di orgoglio più volte sputtanato. Non resta davvero nulla, se non macerie, a questo gruppo di ragazzi che sono stati in grado di logorare anche il più ottimista. Tra le strade, nei bar, nelle chat su whatsapp l’imperativo è uno solo: “Vott à fernì”
Nove mesi, era settembre e quel tweet di ADL confermava che non ci avesse capito molto. “Siamo ripartiti da Bologna” esultava tronfio il patron, dopo lo 0-0 con la squadra di Thiago Motta. Quel Thiago Motta che è arrivato al Maradona ad alzargli la ‘Champions in faccia’, dopo il contatto estivo e la famigerata frase ‘Il direttore sportivo? Sono io il direttore sportivo’. In conferenza stampa il tecnico brasiliano dice che ‘Dal primo all’ultimo in società sono stati fondamentali per la conquista del traguardo’, una bella frecciata all’accentratore ADL che credeva di aver trovato la formula dell’eterna giovinezza per la sua squadra.
Dieci alle lacrime sincere di Lobotka, l’unico a sbattersi lì in mezzo, se vogliamo non solo ieri ma per tutta la stagione. Iconica l’immagine di Stan, con le mani sul volto provato dalla delusione, sfinito e svilito per ciò che è accaduto e mai avrebbe immaginato potesse accadere. Si riparta da quelle lacrime, da quel dispiacere, da quella voglia di provare, almeno provarci, a frenare la rovinosa caduta. Le scelte sul mercato saranno molto semplici, prendere tutti singolarmente e chiedere: “Vuoi restare al Napoli? Vuoi davvero restare al Napoli”. Non saranno accettabili i ‘Forse’ o i ‘Non lo so’. Chi ha anche un minimo dubbio, una minima esitazione, deve essere mandato via. La sabbia nella clessidra della tolleranza, ha già da un bel po’ esaurito la sua corsa.
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