Guido Clemente di San Luca a TN: "Spalletti tra rimorsi e rimpianto. Dopo Insigne via anche Ciro e Kalidou?
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni sulla stagione azzurra.
Ed eccoci al bilancio dell’annata sotto il profilo tecnico. Abbiamo conseguito l’obiettivo di tornare in Champions. Dal punto di vista imprenditoriale, dunque, nulla quaestio. Ma sul resto dobbiamo tacere? Possiamo dirci altrettanto soddisfatti dal punto di vista sportivo? Tranne una minoranza ‘aziendalista’, la città è assai delusa e amareggiata. Perché aveva percepito che ci si sarebbe potuto battere per il titolo fino alla fine. E invece no.
V’è un problema da affrontare, anche in chiave futuribile. Pure questo campionato, come – ovviamente mutatis mutandis – il precedente, si conclude lasciandoci l’amaro in bocca. Senza che ci vengano date spiegazioni. Di chi è la responsabilità? La tesi che nei media va per la maggiore è salomonica. Sarebbe un po’ di tutti. Della società che difetta in comunicazione, e di presenza costante anche mediante una figura di intermediazione fra sé e la squadra. Dei giocatori, principalmente, che al momento opportuno – è una costante sistematica – rivelano di non avere gli attributi, d’essere privi di personalità, e nel complesso inferiori a quelli di Inter e Milan. Qualcuno ha avuto il coraggio di individuare la causa in alcune scelte di Spalletti (Bagni, ad esempio, o Improta). Ma fra i giornalisti (fatte salve poche eccezioni) s’è subito scelta la via buonista e prudente dei toni concilianti. Non va bene. Se c’è polvere, va rimossa, non messa sotto il tappeto.
Provo a chiarire analiticamente perché – al di là del merito indiscutibile di aver contribuito in maniera consistente al conseguimento dell’obiettivo stagionale (all’inizio per nulla scontato) – la responsabilità dell’uscita dalla lotta per lo scudetto è pressoché esclusivamente del mister. Ai calciatori, infatti, non si può rimproverare scarso impegno, né mancanza di attaccamento alla maglia. Certo non si distinguono per il carattere. Ma non s’era detto che Spalletti v’aveva posto rimedio?
Valutai come molto apprezzabile che, nel raccogliere l’eredità di Gattuso, ne avesse riconosciuto i meriti, affermando che disponeva di una squadra forte, cui occorrevano, per migliorarsi, solo alcuni accorgimenti. Tutti abbiamo accolto con entusiasmo l’inizio folgorante: 10 vittorie nelle prime 11. Soprattutto m’era parso convincente il principio enunciato dall’allenatore: «Con i 5 cambi il calcio è cambiato. I giocatori devono capire che ormai si deve pensare di essere titolari per 30 o 60 minuti». Lasciava presagire il coinvolgimento dell’intera rosa, magnificando le potenzialità di tutti i suoi componenti. E invece, dopo un po’, s’è presa una via non coerente con quanto dichiarato. Dopo l’emergenza fra dicembre e gennaio (infortuni, Covid e Coppa d’Africa), da cui s’era usciti bene, le scelte sono state spesso incomprensibili. Ma soprattutto assunte senza illustrazione. Una volta tornati disponibili quasi tutti i giocatori, la gestione complessiva delle risorse è apparsa priva di un senso lineare e conseguente.
Comunque, fino al 6 febbraio (Venezia-Napoli 0-2), sia pur fra alti e bassi, tutto sommato sembrava andar bene. Il cammino marcatamente ondivago è cominciato con Napoli-Inter della settimana successiva (1-1). Prima a Barcellona, poi a Cagliari e di nuovo col Barcellona in casa, v’è stata un’infelice amministrazione delle forze. S’ebbe però un confortante segnale di ripresa a Roma con la Lazio. Ma subito a seguire una brutta ricaduta col Milan in casa (dove – va detto – si perpetrò una delle più evidenti frodi sportive da VAR della stagione). Poi nelle seguenti tre partite, dai più pronosticate proibitive (a Verona, in casa con l’Udinese, e a Bergamo), un en plein al di là di ogni ragionevole speranza. Pareva che l’orgasmo collettivo fosse di nuovo a portata di mano. Invece il tonfo definitivo in casa con Fiorentina e Roma, e infine il disastro di Empoli.
Diciamolo francamente. Nonostante tutto (poca personalità e non elevata struttura fisica complessiva della rosa; assai scarsa ricorrenza di kairos; perseverante illegittimità nelle direzioni delle gare), se in quelle tre partite Spalletti non avesse fatto scelte scellerate, avremmo potuto coltivare il sogno fino alla fine. E a lasciare perplessi più di ogni altra cosa è il fatto che non abbia spiegato perché ha perso di vista quanto egli stesso aveva dichiarato. Certo, non conosciamo le cose di dentro. Ma, proprio per questo, dovrebbe essere il mister a darne conto, e la stampa a chiederne.
Riassumo fra rimorsi e rimpianti le opzioni indecifrabili. In difesa. Rimpianto Ghoulam (fisicamente ben più prestante di Mario Rui, col quale poteva essere ragionevolmente alternato in base all’avversario): è stato del tutto accantonato dopo aver disputato, nell’emergenza di gennaio, tre splendide partite in una settimana, dando dimostrazione dell’efficienza fisica definitivamente ritrovata. Rimpianto Zanoli: fino al momento di doverlo chiamare in causa per forza maggiore, gli è stato dato un minutaggio risibile. A centrocampo. Rimpianto Demme: misteriosamente accantonato, ‘costringendo’ Lobotka e Anguissa agli straordinari (e così ad infortunarsi) senza dargli ricambio al 60°, e salvo poi, a Cagliari, in piena emergenza, doverlo rimettere in campo privo di sufficiente birra in corpo. Rimpianto Elmas: quando sembrava in stato di grazia, all’improvviso, è stato impiegato col contagocce. Rimorso Fabian e Zielinski: mandati o tenuti in campo in evidente calo di condizione (ad Empoli in modo veramente sacrilego). In attacco. Rimpianto Mertens: schierato troppo poco insieme a Insigne e Osimhen. Rimorso Lozano e Politano: la feconda staffetta fra loro, a un certo punto, messa nel cassetto. Rimpianto Petagna e Ounas: utilizzati veramente poco.
Sebbene queste oscurità appaiano incontrovertibili, il refrain della stampa main stream è che il mister abbia avuto il merito di valorizzare la rosa. Ma è così solo per alcuni (lo ha ben evidenziato Minervini)! Vale senz’altro per Lobotka (il quale, peraltro, l’anno scorso era in evidente sovrappeso). In parte vale anche per Rrahmani, e pure per Juan Jesus. Ma certo non per Demme, Ghoulam e Zanoli; o per Zielinski, Insigne, Politano e Lozano, che hanno avuto un rendimento molto inferiore all’anno precedente. Senza dire, poi, della gestione veramente inesplicabile di Mertens.
Tutto ciò non è – né può restare – ininfluente sul progetto futuro. Su una cosa Spalletti ha ragione. Che dice il falso chi afferma che questo campionato sia stato più facile degli altri. È vero l’esatto contrario. Solo un osservatore superficiale può ritenere che il livello di qualità medio non si sia elevato di molto. Tuttavia, per come s’erano messe le cose, non si può considerare la qualificazione Champions come un traguardo soddisfacente. È sicuramente importante. Ma avevamo tutte le carte in regola per vincere il campionato. E lui ha commesso errori determinanti. Non serve blandire Napoli e i napoletani. Deve trattarci senza infingimenti, e soprattutto senza presunzione, smettendo di fare il permaloso. Non è poi così difficile. Basta rispondere sulle questioni tecniche smettendo quell’aria di irritante suscettibilità. In ogni caso, nonostante i notevoli sforzi di ‘normalizzazione’ che si percepiscono diffusi, è necessario provare a capire cosa si farà per l’anno prossimo.
La squadra verrà rifondata? E come? Dopo il capitano, perderemo anche Ciro e Kalidou, restando privi di anima? Non v’è dubbio che occorra alimentare nuovamente il sogno. Ne è consapevole AdL? E Spalletti cosa ne pensa? Sembra che il mister chieda calciatori fisici. Significa che ha intenzione di rinnegare l’identità tattica centrata sul dominio tecnico? Dubito fortemente che capiranno le critiche che gli vengono mosse. Ed ho la netta sensazione che l’armonia fra i due sia solo apparente, tutt’altro che veritiera. Troppe domande senza risposta per rimettere in moto la passione.
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