Guido Clemente di San Luca a TN: "I calciatori non sono diventati pippe! ADL trovi un motivatore"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli.
"Chi ama il Napoli e l’azzurro ha il dovere di impedire all’amarezza, alla rabbia e alla delusione che stiamo provando di trasformarsi in stoltezza. Il contratto di prestazione sportiva non costituisce una obbligazione di risultato, ma, come si dice in gergo giuridico, di mezzi. Insomma, è richiesta soltanto la diligenza professionale, non il conseguimento del risultato. È vero, i corpi dei giocatori parlano, ma non dicono affatto che ci stanno prendendo «per il c*lo» (cito Minervini), piuttosto che sono disorientati, confusi. Hanno perso identità, anima e, soprattutto, connessione emotiva. Chi dice che sono brocchi, nega la meraviglia della scorsa stagione. Chi afferma che non hanno dignità, che non s’impegnano, dice il falso. Ed è questo che preoccupa guardando al futuro.
Gli «occhi svuotati di chi ha perso il proprio scopo» non segnalano vuoto di orgoglio, mancanza di senso di appartenenza. Sono eloquenti le lacrime di Lobotka. Che però non è stato «l’unico a sbattersi lì in mezzo». Si sono sbattuti tutti. Lui forse l’unico a non perdere connessione. Ma, secondo voi, c’è qualcuno che non avrebbe voluto evitare questa «rovinosa caduta»? Certo, se c’è chi non ha voglia di restare, va ceduto. Ma non perché all’improvviso abbiamo scoperto che è scarso, oppure che è privo di deontologia. Se non lo era l’anno scorso, non lo è nemmeno quest’anno. Allora ben si capisce che è altra la causa originaria del clamoroso fallimento. Il francese ha desertificato l’ambiente, peggio di quanto fece il celebratissimo Carletto.
Con buona pace dei venditori di fumo, l’opera di fruttifera concimazione e semina per la riedificazione delle basi, che ha poi consentito la copiosa raccolta di Spalletti, venne compiuta dal vituperato Gattuso. Ecco, Calzona non ne è stato capace (forse ci stava riuscendo Mazzarri). Adesso ADL deve trovare uno (fra i nomi che si fanno, vedo senz’altro meglio Italiano) capace di rivitalizzare emotivamente il contesto e i giocatori che rimarranno. Che non sono d’emblée diventati delle ‘pippe’, senz’arte né nerbo. Sono soltanto disconnessi.
Il «limbo infinito fatto di pareti grigie e cuori spenti» (sempre con le efficacissime parole di Minervini) non significa che i giocatori non vogliono «ricambiare l’amore ricevuto». Il grido delle curve «Mercenari, cacciali tutti» è istigato e cavalcato da una parte cospicua della stampa (scritta e non). Che sembra aver dimenticato, e smesso di segnalare, che cosa abbia generato questa inverosimile interruzione della connessione emotiva. Insomma, quello che è accaduto non è successo out of the blue (come dicono gli americani). Se vuole contenere le perdite per salvare portafoglio ed impresa, è su questo che deve concentrarsi il Presidente nelle scelte per la prossima stagione.
Anguissa è quello di quest’anno o quello dell’anno scorso? Bisogna capire se «vive una crisi esistenziale e motivazionale», e se «passeggia per il campo», veramente perché la questione non lo riguarda, o invece perché «vive in un corpo che pare scollegato al compito che dovrebbe assolvere» (le due risposte sono fra loro alternative). E Di Lorenzo? Perché non è più quello della passata stagione? È saggio pensare di non tenerlo, pur se ha compiuto «una serie di errori imperdonabili»? È «usurato» (ma l’anno scorso non era iron man?) e definitivamente out of order, oppure va rimesso in sesto fisicamente e psicologicamente? E come loro, Meret, Rahmani, Olivera, Mario Rui, Politano, Kvara, Raspadori, Simeone? Per non dire dei nuovi, Natan, Mazzocchi, Cajuste, Lindstrøm, Ngonge, finiti nel ‘tritacarne dello spirito’ di questa stagione dannata.
Dopo la partita dell’andata a settembre, ADL insistette pervicacemente nei suoi eclatanti errori estivi. Twittando «Siamo ripartiti da Bologna», prima di ogni altro, illuse sé medesimo. Speriamo che, nel suo stesso interesse, faccia tesoro delle nefaste conseguenze generate dalla egolatria che, facendogli perdere Spalletti e non avere il sì di Thiago Motta, ci ha affondato tutti.
2. Il consueto pensiero finale sulla cronica mancanza di legalità. A Udine Aureliano arbitrò da 7. Un’assoluta eccezione in questo quadro desolante. Sabato – oltre alle continue ingiustificabili decisioni sugli interventi in mezzo al campo, esibenti un’evidente diseguaglianza e iniquità di valutazione –, al 19’, Osimhen anticipa Freuler che lo sgambetta. Il rigore è indiscutibile (questa storia della «lieve entità» serve solo a giustificare le malefatte). La esecuzione invece è palesemente illegittima. Ravaglia, infatti, non ha entrambi i piedi (neanche una parte del piede o la sua proiezione) sulla linea di porta. Era da ripetere. Il VAR incredibilmente non rileva l’irregolare movimento del portiere. Al 46’, poi, v’è in area di rigore una nitida trattenuta di Aebischer su Osimhen, inopinabilmente in violazione delle regole. Il VAR resta inerte, e gli ineffabili commentatori tecnici si trincerano dietro la bufala della «valutazione di campo». Pairetto arbitrariamente, cioè contra legem, la giudica non punibile. Per lui è tutto regolare. È vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, ma a patto che questi non ne abbiano ereditato l’attitudine a venir meno ai propri doveri.
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