Esclusiva

Guido Clemente di San Luca a TN: "Conte non si è reso conto che a Napoli deve combattere anche altro?"

Guido Clemente di San Luca a TN: "Conte non si è reso conto che a Napoli deve combattere anche altro?"
Oggi alle 12:30Esclusive
di Arturo Minervini
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento di casa Napoli.

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento di casa Napoli.

Il «tribuno della plebe» di epoca romana è figura cui storicamente non può che riconoscersi l’attributo di virtuosa, per l’originario «carattere rivoluzionario» e per la missione di «difendere i plebei contro gli abusi del potere statuale». Nobile valore, non dissimile da quello che qualifica il «tribuno del popolo difensore dei diritti dell’uomo» di Babeuf, che in qualche modo la riprese nella esperienza post Rivoluzione francese. Il lemma «tribuno», però, col tempo ha finito per assumere anche il significato spregiativo di colui «che usa le proprie capacità oratorie per fini demagogici», di «arruffapopoli». E dunque bisogna stare attenti a credere a chi da «tribuno del popolo», senza mutarne le sembianze, si trasforma in «tribuno del potere». Potere che, pubblico o privato che sia, viene fedelmente servito senza apertamente dichiararlo, e senza mostrare di farlo. Apparentemente.

L’apparenza, però, spesso inganna. E ad osservare attentamente si disvela senza fatica quel che dietro di essa si cela. Si scopre così che sovente si afferma il falso (ad esempio, accusando di seminare odio sol perché si manifestano opinioni diverse); o si rivela l’ignoranza di concetti essenziali (ad esempio, quello di «valore», fingendo di non conoscere la ontologica relatività della scala assiologica, tranne quella positivamente consacrata dalla Costituzione); oppure si cambia idea a seconda della convenienza (ad esempio, dichiarando di battersi contro le illegalità e al tempo stesso di apprezzare il modello culturale che palesemente le incarna, perché «siamo nel 2024» e non c’è posto per i romanticismi, ben venga la cultura della vittoria ad ogni costo e della «professionalità» nell’accezione della filosofia mercantile). Si sostiene, quale giustificazione di un tale palese on-divago opinare, che la coerenza è virtù dei fessi, perché solo questi non cambiano idee.

Dunque, sia pur implicitamente, si ammette di aver cambiato idea, di sconfessare, cioè, il proprio precedente essere ed operare. Ebbene, nell’invitare a privarsi della pesante zavorra del paradigma etico-antropologico, si esibisce una miopia prossima alla cecità. Senza quel paradigma, in-fatti, si rimane esposti ai rischi del «trasformismo», il quale – è noto – finisce per legittimare il compimento di qualsiasi nefandezza. Il canto dei napoletani «chi non salta juventino è» non esprime odio (anche se qualcuno certamente lo proverà). Rivela bensì una diversa identità, una diversa cultura, diversi valori. Liberissimi di rinnegarli. Però sia chiaro: se si aderisce al motto «la vittoria non è importante, è l’unica cosa che conta», poi non si potrà più rivendicare orgogliosamente fantasia e capacità creativa, amore per il bello, resistenza al potere che fa strame della legalità.

E non per un’astratta aspirazione a tenere una condotta coerente (ché tanto di questa i tribuni del padrone non sanno che farsene). Ma assai più semplicemente perché così facendo, seppur con scarsissima consapevolezza, si sceglie di rinunciare alla propria identità. Ti troverai, tifoso azzurro, a guardarti nello specchio e chiederti: «ma chi sei tu?». E non saprai cosa rispondere. Oppure sì, scoprirai sgomento di essere diventato un partenopeo con l’anima bianconera.

Col Como ci è andata di lusso. Il primo tempo avrebbe dovuto concludersi coi lariani in vantaggio. Ci hanno dominato, col gioco. Dimostrando che grinta, tenacia e determinazione pur indispensabili sono insufficienti. L’abbiamo vinta (con grande gioia tifosa, sia chiaro!) perché sbloccata su rigore generato dal pressing di Olivera che ha rubato una gran palla ed è stato buttato giù in area. Altrimenti chissà. Alla lunga, senza crescere nel gioco, il (troppo decantato) cinismo non basta.

Eppure, abbiamo una rosa fortissima. Ogni tanto va anche bene mettersi col 5-4-1. Ma al 60° far entrare 2-3 di quelli bravi in panchina no? Dopo il rigore, il fraterno amico seduto accanto a me m’ha detto: «Ma non ti ricordi come vinceva la Juve? Un gol e poi difesa. In campo e… da fuori». Appunto. Per adesso ci è andata bene in campo. Da fuori proprio no. Ennesimo arbitraggio illegittimo, VAR da frode sportiva. Delle due l’una. O Conte non s’è ben reso conto che, allenando il Napoli, deve combattere anche altro. Oppure pensa – chissà perché – che il portar qui la cultura juventina farà invertire a nostro favore l’atteggiamento illegale (e ostile) del sistema. Tertium non datur. A costo di subire gravi offese e farmi dare del «ridicolo», preferisco di gran lunga la prima.