Guido Clemente di San Luca a TN - "Basta! Quelli degli arbitri non sono errori!"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni per Tuttonapoli sulla questione arbitrale.
"È proprio vero, «’O pataterno da ’o ppane a chi nun tène ’e diente e ’e viscuotte a chi nun s’ ’e ppò rusecà». In italiano il noto detto partenopeo è forse ancor più efficace: «Il pane in bocca a chi non ha i denti». Lo si riscontra – in maniera tanto facile, quanto sconcertante – nell’ascoltare il dibattito nelle trasmissioni di praticamente tutte le piattaforme televisive nazionali in cui si commenta il calcio. Letteralmente non sanno di cosa parlano: hanno il pane ma non dispongono dei denti. Le regole del gioco del calcio sono norme giuridiche. Come tali vanno studiate, interpretate e fatte rispettare. Pur di salvare la presupposta buona fede, esperti sedicenti o presunti (giacché esibiscono un palese digiuno di diritto) si sperticano prodigandosi per qualificare come ‘errori’ le sempre più frequenti decisioni illegittime, perché assunte in obiettiva e non opinabile violazione delle regole.
Basta! Una volta per tutte! Non si tratta di errori! Può essere tale, sicuramente, quello commesso dall’arbitro, che può fallire nella rilevazione di un fatto. Non quello del VAR, cui – a meno di malfunzionamento della macchina – non è possibile che sfugga tale rilevazione. Poi, certo, la qualificazione giuridica del fatto – e cioè se esso integri o meno in concreto la fattispecie regolata in astratto dalla norma – è competenza esclusiva dell’arbitro, che, dopo «revisione sul campo», deve assumersi la responsabilità della decisione, non potendo più nascondersi dietro lo scudo dell’errore.
In proposito il vigente Protocollo VAR (2023, punto 5 dei Principi) è inequivocabile: «La decisione finale viene sempre presa dall’arbitro, o in base alle informazioni del VAR o dopo che l’arbitro ha intrapreso una “revisione sul campo” (OFR = On Field Review)». Nel Capo intitolato «Procedure», paragrafo sulla «Revisione», è stabilito che «L’arbitro può avviare una “revisione” per un potenziale “errore chiaro ed evidente” o un “grave episodio non visto” quando: - il VAR (o un altro ufficiale di gara) raccomanda una “revisione”; - l’arbitro sospetta che qualcosa di grave non sia stato “visto”». Sul punto il testo è addirittura didascalico nel chiarire in cosa consista la «“revisione sul campo”»: l’arbitro, dopo essere stato richiamato dal VAR, «va nell’area di revisione per vedere il replay del filmato prima di prendere una decisione definitiva». Da nessuna parte è menzionata la «valutazione di campo», una fattispecie normativa inesistente, di fatto ‘creata’ dal chiacchiericcio da bar sport interpretato da pressoché tutti gli ‘esperti’ (privi di qualsiasi altra legittimazione che non sia quella dell’impresario TV che gli dà spazio).
La «revisione sul campo» è dalla norma prescritta come «appropriata» nei casi di «decisioni soggettive, ad esempio intensità di un contrasto falloso, interferenza in un fuorigioco, considerazioni su un fallo di mano». Quanto invece alle «decisioni oggettive (che si “limitano ai fatti”), ad esempio, posizione di un’infrazione o di un calciatore (fuorigioco), punto di contatto (fallo di mano / fallo), posizione (all’interno o all’esterno dell’area di rigore), pallone non in gioco, ecc.», la norma dispone che «è solitamente sufficiente una revisione del VAR»; tuttavia, «una “revisione sul campo” può essere intrapresa» anche «per una decisione oggettiva se aiuterà a gestire i calciatori o la gara o a rendere pienamente credibile la decisione».
Come chiunque può capire, dunque, i commenti nelle trasmissioni televisive dedicate sono nella quasi totalità fuorvianti. Sulla sussistenza di un fatto non v’è alcuna valutazione opinabile: il fatto è accertabile dal VAR senza errori. La sua successiva qualificazione giuridica può sì essere opinabile, ma soltanto nei margini lasciati dalla interpretazione del dettato normativo. Il quale disciplina con buona precisione le singole fattispecie: la negligenza, l’imprudenza, la vigoria sproporzionata, la S.P.A. («stop a promising attack», e cioè un fallo che interrompe una promettente azione d’attacco) il DOGSO [«denying (a goal or) an obvious goal-scoring opportunity», e cioè negare (la segnatura di una rete o) un’evidente occasione di segnare una rete]. Punto.
Il resto è fuffa, ciarpame, paccottiglia, chiacchiera senza alcun fondamento o significato. Intenzionalmente e abilmente spruzzata ad arte per confondere le idee e portare acqua al mulino dei propugnatori dell’arbitrio degli arbitri, perché altrimenti – secondo loro – il senso del gioco verrebbe snaturato. Vergognose bugie per legittimare un potere che vogliono libero, allo scopo di consentirne un uso indiscriminato, così da indirizzarlo alla bisogna nella direzione voluta.
Ora basta! Laddove arbitri e/o assistenti addetti al VAR neghino l’evidenza ci sono i presupposti per integrare la configurabilità del reato di frode sportiva. Perché è indiscutibile che queste decisioni obiettivamente illegittime contribuiscono ad alterare il risultato della competizione.
Contro il Frosinone, il Napoli ha offerto una prestazione non propriamente esaltante. Ma il risultato è stato, senza dubbi, falsato da una decisione clamorosamente illegittima del sig. Abisso. Non per la opinabile punibilità del tocco di braccio di Lindstrom (ad esempio, quella di Pulisic in Genoa-Milan, certamente più grave, venne ritenuta non punibile), attaccato al corpo e non proprio decisivo nello stoppare il pallone. Ma per la inopinabile illegittimità dell’intervento del VAR, cui è precluso intervenire laddove, dopo il (presunto) fallo non rilevato dall’arbitro, sia cominciata una nuova azione. Okoli, anticipando Zanoli che s’era allungato il pallone, lo appoggia verso Cerofolini con palese intenzionalità. Il gol di Simeone (ammesso e non concesso che l’azione fosse viziata), stando alla vigente tassativa regola procedurale, non è annullabile. Il suo annullamento è illegittimo. Secondo Calvarese, «c’è un errore, purtroppo gli errori accadono». Ma come può Abisso non aver avuto la «lucidità per valutarlo» al VAR? E se la illegittimità fosse stata causata da un fatto illecito?
In casi come questo, ormai numerosissimi, non si può più parlare di errore. Mi verrebbe di dire che la buona fede non possa più essere presunta. Che si svegli finalmente il giudice penale (solerte solo quando vuole nell’interpretare la obbligatorietà dell’azione penale) per verificare la sussistenza del dolo specifico necessario per integrare l’elemento soggettivo del reato, adoperando gli strumenti d’indagine di cui è dotato dalla legge (intercettazioni, perquisizioni, sequestri, ecc.). Un paio di aperture d’indagini del genere basterebbe per costringere l’AIA a garantire la trasparenza".
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