Da Zero a Dieci: il funerale del Sarrismo, le infamie gratuite su Ancelotti, il sistema impazzito senza Josè e l’imperdonabile peccato

Da Zero a Dieci: il funerale del Sarrismo, le infamie gratuite su Ancelotti, il sistema impazzito senza Josè e l’imperdonabile peccatoTuttoNapoli.net
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
lunedì 3 settembre 2018, 10:39Copertina
di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero ai processi. A quelli che ‘l’avevano detto’, ma erano gli stessi che dopo la vittoria con il Milan avevano girato nudi in piazza dopo il gol di Mertens. Zero a chi vuole davvero far passare Ancelotti come uno sprovveduto, infamie gratuite che qualificano chi le pronuncia.È una questione di equilibrio, problema che riguarda la squadra ma che investe anche questi giudici più isterici di Meryl Streep ne ‘Il Diavolo veste Prada’. Qui non è questione di analizzare una sconfitta, ma di superare i propri pregiudizi per provare a dare forza al proprio parere ed infamare quello degli altri. Una propaganda politica che non è utile e non risulta mai costruttiva e che evidenzia, ancora una volta, la partigianeria becera di chi non vuole il bene di questo Napoli, ma solo il proprio. Egoisti e fomentatori siete già schedati. 

Uno come il minuto, il primo, che porta Insigne davanti alla porta. Potrebbe dare un volto subito affascinante alla gara, ma Lorenzo su quel pallone arriva molle, con una superficialità quasi imperdonabile. È lo specchio di un animo che aveva probabilmente creduto di poter avere vita facile in terra genovese, scoprendosi poi incapace di reagire al primo schiaffo subito. Una leggerezza che si è protratta per tutta la gara, diventando quasi contagiosa tra un compagno e l’altro. Lo specchio del Napoli di Marassi è Insigne che cerca bellezza senza trovarla, perché il terreno di gioco è un giudice supremo e non ti premia mai se non sacrifichi tutto il sudore che le grandi imprese richiedono. 

Due cambi significativi, che segnano una svolta storica. Ancelotti come Costantino nel famoso Editto del 313 annuncia il cambio di religione, celebrando una sorta di funerale ideologico del Sarrismo. Fuori Callejon, mai accaduto nelle 38 gare dello scorso anno, fuori il nuovo regista Hamsik per la fisicità di Diawara. Senza Reina, senza Jorginho, con Mertens in panchina per Milik: tutti i cardini di Sarri ancorati ad una zavorra e lanciati in fondo al mare, come un sasso che proverà a resistere alla corrente. Comunque vada, a Marassi è iniziata ufficialmente una nuova era, il crepuscolo che divide notte giorno si è palesato all’orizzonte in questa transizione che si annuncia più complicata del previsto. 

Tre volte in svantaggio in stagione. Approccio sbagliato, eccesso di superbia, pura fatalità: a prescindere dalle possibili cause, il dato resta e non è incoraggiante. Perché non sempre può andarti bene, perché essere costretto a rimontare ti porta a bruciare energie che nel corso dell’annata possono risultare fondamentali. È una pigrizia che è un lusso che non sempre puoi concederti, eredità di un Napoli che dovrebbe rinunciare a certi vizi. 

Quattro a quelli che non rispettano il passato, che danno le cose per scontate solo perché le hanno a portata di mano. Callejon era da riciclare come fosse un rifiuto complesso in estate, poi scopri che toglierlo dall’ingranaggio manda in tilt tutto il sistema. Hugo Cabret, chi meglio di lui quando si parla di ingranaggi, la spiegherebbe così: "Mi piace immaginare che il mondo sia un unico grande meccanismo. Sai, le macchine non hanno pezzi in più. Hanno esattamente il numero e il tipo di pezzi che servono. Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo. E anche tu!”. Se si perde il motivo, si perde anche lo scopo. Se perdi Josè, perdi ogni tipo di equilibrio.

Cinque alla timidezza. Diawara dopo le notti da Leone a Madrid ed a Manchester si riscopre sorprendentemente nudo, immaturo come un frutto che sta avendo problemi con il suo processo di maturazione. Il passaggio di transizione tra alternativa sporadica e pretendente ad una maglia da titolare è complesso, servono attributi che vanno oltre le questioni tecniche. Discorso che può essere applicato anche a Simone Verdi , che ha deciso di non entrare mai davvero nella contesa alla sua prima ufficiale in azzurro. Essere da big impone una volontà ferrea, intoccabile, forgiata nel petto di chi vive ogni gara come la più importante della vita. Rubando in prestito le parole di Neruda: “La timidezza è una condizione strana dell’anima, una categoria, una dimensione che si apre alla solitudine”. È proprio questo il problema, questa solitudine di un Napoli che non è riuscito ad essere squadra.

Sei gol subiti in tre gare. Tanti, troppi, per chi vorrebbe avere ambizioni simili a quelle del recente passato. Le certezze che scricchiolano, come le ginocchia di Forrest Gump prima di mettere l’apparecchio per sostenere le gambe. Ecco cosa manca al Napoli, la fiducia in un appoggio esterno, il pensiero di un paracadute che ti culla. Negli scorsi anni il paracadute era il pressing alto e forsennato, che toglieva tanto lavoro al reparto arretrato. Senza quel tipo di lavoro, inevitabilmente, le lacune di qualche singolo sono destinate ad emergere. Proprio come accade ad una donna appena dopo il matrimonio.

Sette alla voglia di Ounas. Con tutti gli occhi addosso, e l’etichetta appiccicata sulla schiena di giovane ed anarchico, mostra lampi di un talento che non deve restare imprigionato. Perché il talento ha bisogno di spazio, a volte è ingombrante e può finire soffocato se non trova ossigeno a nutrire le sue ambizioni. Adam entra nel momento peggiore e prova ad inventare, mandando a tratti in tilt la difesa della Samp che mai aveva sofferto nella prima frazione. Arma interessante da sfruttare e valorizzare, perché per ripartire servirà attingere da ogni risorsa a disposizione.

Otto il numero che fu di Jorginho. Non è il Mattia Pascal, ma una sorta di smarrimento esiste in una cabina di regia che cerca sia autori che personaggi. In questo incastro pirandelliano, l’assenza del centrocampista volato a Londra pesa come un macigno che costringe ad un nuovo supplizio e vede un Hamsik ancora titubante sulla sua nuova identità da Adriano Meis (nuova identità del suddetto Pascal). Una scelta andrà fatta, per il bene di tutto. Sul modulo, sulle posizioni, sulle gerarchie. Non perché le rotazioni non siano un bene, ma perché bisogna comunque partire da un punto per poi svilupparne altri. Questo senso di incompiuto lascia aperti troppi spiragli e negli spiragli entrano i raggi di sole. Ma anche il veleno…

Nove al gol di Quagliarella, perché è di bellezza stordente al punto che per una frazione di secondo riesci anche a dimenticare il colore delle maglie. Nove perché è uno che se lo merita, perché ha pagato al destino infame in azzurro un conto reso salato dalle lacrime versate per la storia assurda di cui era stato ostaggio. Nove perché bisogna raccontare un calcio diverso, capace di applaudire l’istantanea genialità di uno che è sempre stato capace di vedere gol che gli altri nemmeno osavano immaginarli. 

Dieci alla sosta, manna dal cielo scesa a miracol mostrare. Serviva una pausa di riflessione, mettere un punto su un foglio bianco che ha ancora tante pagine da scrivere. È iniziato un nuovo capitolo ed ogni scrittore può avere un blocco quando c’è da imprimere una svolta alla storia. Niente paura, solo consapevolezza. Niente allarmismi, solo analisi approfondite. Ancelotti il garante di questo processo di mediazione con le proprie paure, il custode di una serenità che è il primo passo per ritrovare vecchie convinzioni. Il maestro Yoda che ripete il mantra: “Fare o non fare. Non c’è provare”. Ecco cosa deve ritrovare il Napoli: la pragmatica perduta di chi vive ancora in una realtà parallela tra presente e passato, imprigionato come Leonardo Di Caprio in una realtà onirica. È ora di aprire gli occhi, di fermare la trottola e di iniziare a vivere la nuova era.