Da Parigi, Dr. Santarpia a Tn: "Ecco la riappropriazione rinascimental-culturale di 'O surdato 'nnammurato"

Il Dr. Alfonso Santarpia, psicologo e professore di psicologia dinamica al Sigmund Freud Institute Paris, ha scritto a Tutto Napoli.net: "Cara redazione, in linea con la mia riflessione che vi mandai sull'aggressività retorica del pubblico juventino in occasione della partita Juventus-Napoli, che cantò la nota canzone napoletana, vi invio una riflessione sulla risoluzione dello strappo subito".
Sulla riappropriazione rinascimental-culturale di « 'O surdato 'nnammurato»
Sono passati circa 50 giorni da quella tristissima espressione di tifo del 01/04/2012, la Juventus batteva il Napoli 3-0, e tutto lo stadio, «s'impossessava canoramente » delle note di «'O surdato 'nnammurato» (Il soldato innamorato) notissima canzone napoletana del poeta Aniello Califano, musicata da Enrico Cannio nel 1915 e patrimonio non solo della cultura partenopea ma vanto della canzone italiana nel mondo. Storicamente, questa canzone è un vero e proprio inno della tifoseria partenopea: fu nel 1975, in occasione di una trasferta contro la Lazio (rete di Boccolini per il Napoli e provvisorio primo posto in classifica) che fu cantata, un po' casualmente dai tantissimi spettatori azzurri all'Olimpico di Roma «'O surdato 'nnamurato"». Questa operazione retorica, definita da me, in un articolo, « un obbrobrio » (Sport People, 18 aprile 2012) perché rappresenta un modo violento di attaccare una cultura intera dall'interno « come un silenzioso cavallo di Troia », ha scatenato due tipi di reazioni. Per alcuni tifosi, soprattutto della Juventus, oriundi e non oriundi, questa « appropriazione canora » è stata una trovata folklorica innocua e geniale, per altri, tifosi del Napoli e soprattutto napoletani non necessariamente appassionati di calcio, è stata vissuta come « scippo emozionale », « ferita profonda », « sentimento di stranezza », « vile attacco all'identità », « corpo violato ». Sentimenti che si accumulano a quelli davanti alle scritte razziste che di domenica e in domenica si moltiplicano in molti stadi, e che sollecitano « il Vesuvio » a fare piazza pulita di persone e cose. Accumuli di rabbia, « gonfiore di fegato », che forse-forse spingono fuori dalle labbra quei fischi tanto « incompresi » contro l'inno italiano, cantato all'inizio del match di coppa Italia. Fischi che non si devono giudicare e punire frettolosamente, ma si debbono capire a fondo, perché le trame su cui si articolano sono inquietanti ed esulano dalle dinamiche goliardiche di sport. E le capacità di « co-esistenza in coscienza » della doppia appartenenza, cultura di nascita e cultura nazionale, è operazione impossibile, se il vento che tira, è di questa intensità.
Queste amarezze vissute dalla sensibilità partenopea sono perfettamente espresse poeticamente nei versi centrali della celebre canzone, che sembra illustri l'angoscia di perdita identitaria dell'amata Madre-Terra-Violata :
Quanta notte nun te veco,
nun te sento 'int'a 'sti bbracce,
nun te vaso chesta faccia,
nun t'astregno forte 'mbraccio a me?!
Ma, scetánnome 'a 'sti suonne,
mme faje chiagnere pe' te...
Traduzione
Quante notti che non ti vedo,
non ti sento tra queste braccia,
non ti bacio questa faccia,
non ti stringo forte sul mio petto?!
Ma, svegliandomi da questi sogni,
mi fai piangere per te…
Oggi però quel soldato innamorato stringe tra « le sue braccia » la sua coppa, fatta di una speranza possibile che ha il battito della vittoria. Rinascimento napoletano quindi, dopo 8 anni si torna a gioire di un trofeo, che ha un valore altamente simbolico, perché sancisce la bontà di una programmazione, inedita nella storia della gestione « Calcio Napoli ». Programmazione che incarna un modello di vittoria, senza l'urgenza salvifica dell'eroe, come ai tempi di Maradona. Si torna a vincere, proprio all'Olimpico, dove nacquero i primi « rudimenti simbolizzanti dell'inno » e si vince proprio contro la Juventus forte, fresca campione d'Italia, simbolo nazionale della «squadra vincente».
E come per una strana alchimia, questa notte di vittoria, all'Olimpico di Roma, contro la Juventus si offre come « spazio di risveglio e di bellezza » risanatorio per i « napoletani innamorati », e quell'inno ritrova tutta la sua purezza infangata :
Nu penziero mme cunzola,
ca tu pienze sulamente a me...
'A cchiù bella 'e tutte bbelle,
nun è maje cchiù bella 'e te!
Oje vita, oje vita mia...
Traduzione
Un pensiero mi consola,
che tu pensi solamente a me…
La più bella di tutte le belle,
non è mai più bella di te!
Oh vita, oh vita mia...
Proprio quell'inno « purificato alchemicamente » da nuove spinte di sviluppo e nuovi modelli d'espressione vincente, rinasce rivitalizzato alle radici della bella Partenope, certo Madre-Terra che soffre tantissimo, anche dall' « interno bistrattata », ma che può anche vincere, e che non tradisce chi la ama.
Dr Alfonso SANTARPIA
Ph.D, psicologo
Sigmund Freud Institute Paris
Serie A Enilive 2024-2025
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