La storia siete voi: l'eroe della promozione, Stefan Schwoch. Un bolzanino-napoletano
È l’alba del nuovo millennio, c’erano ancora le Torri Gemelle, gli Usa erano alleati di Bin Laden e il Millennium Bug era da poco stato sventato. Senza scomodare la storia del mondo, volendo restare nel nostro piccolo universo fatto di bar, conversazioni e moviole condite da un po’ di amarcord ci catapultiamo in un giorno particolare: 4 Giugno 2000. Abbiamo il giorno, abbiamo anche il luogo perché ci troviamo allo stadio Melani di Pistoia che oggi è costretto a sorbirsi i palcoscenici della Serie D, ed abbiamo anche un momento particolare, un minuto particolare: ore 15.25, Stefan Schwoch segna il goal che riporta il Napoli in Serie A, l’ultimo di un’annata fantastica.
Era la penultima giornata e il Napoli schierava gente del calibro di Oddo, Coppola, Bellucci e Stellone. Quella sconfitta inguaiò gli Orange che alla fine si salveranno all’ultima giornata battendo il Ravenna e condannando il Cesena in Serie C dopo lo spareggio. Erano altri tempi, era un altro calcio e in quella cadetteria c’erano squadre come la Fermana, l’Alzano o i cugini del Savoia che tornarono in B dopo 50 anni. Tutte e tre retrocessero. Era anche l’ultimo anno in B prima del grande Chievo di Del Neri che incantò l’Europa ma fu soprattutto l’anno del nostro protagonista.
Schwoch era un attaccante atipico, mai stata una prima punta, mai trovata la sua posizione ideale. Comincia la carriera tra i dilettanti e bazzica per troppo tempo tra la Serie C e il semiprofessionismo per uno col suo talento, uno che chiuderà la carriera come secondo miglior marcatore di sempre in Serie B ed uno dei migliori del Vicenza superando anche un’istituzione come il Pallone d’Oro Paolo Rossi.
In quel fantastico campionato del 2000 si piazzò 3° nella classifica dei marcatori, dietro Francioso e Di Michele, (all’epoca alla Salernitana), prima di Hubner, (che qualche anno dopo vincerà il titolo di capocannoniere in Serie A), prima anche di Luca Toni. Come detto erano altri tempi e quella cadetteria brulicava di grandi prime punte tant’è che materialmente quel campionato fu vinto dal Napoli con la coppia Schwoc-Stellone, una coppia indimenticabile per quei bambini che, come me, iniziavano ad affacciarsi al grande calcio., A quei tempi io ero innamorato di Ronaldo, Batistuta, di quella grande Lazio con Nesta e Veròn, ma, nascendo in una famiglia napoletana, iniziai a farmi piacere quell’omino che con una splendida maglia azzurra targata Nike e Peroni che faceva impazzire le difese avversarie. 22 goal, come Vojak. Non riuscì a superarle perché prima dell’avvento di Cavani c’era ancora la sua maledizione ma questa è un’altra storia, ne riparleremo., Come detto, Stefan era un attaccante atipico, provato più volte come ala, ma un’illuminazione di Novellino che lo conobbe al Venezia, lo promosse prima punta. In questo ruolo era inarrestabile. Con quella capigliatura, quel pizzetto e quella faccia d’angelo che, perdonate l’eresia, lo rendevano tanto somigliante a Gesù Cristo riuscì a trascinare prima i veneti di Zamparini e Novellino e poi il Napoli in massima serie che per lui sarà sempre dannata tant’è che ha segnato solo 2 goal in prima divisione.
In Campania resta per un anno e mezzo mettendo a segno la bellezza di 32 goal ma la gente di Napoli ha il sangue caldo e coloro i quali aiutano nel momento del bisogno non vengono mai dimenticati. Lui è stato l’eroe della cadetteria, colui che ci riportò in Serie A regalandoci un sogno. La storia ci insegna che fu un sogno effimero ma lui ci ha provato e potete allora immaginare l’effetto che poteva avere su un ragazzino di 8 anni.
In Serie A non andrà col Napoli, verrà ceduto al Torino per un anno prima di fargli cominciare l’avventura più bella della sua vita, quella al Vicenza dove diventa prima capitano, poi allenatore delle giovanili ed oggi direttore sportivo a dimostrazione di quanto calcio ci sia in questo ragazzo che al posto di andare a sciare come i suoi amici, dato che è nato a Bolzano, preferiva passare le giornate a calciare il pallone in una porta, inseguendo un sogno chiamato professionismo che troppe volte sembrava sfuggirgli di mano.
Lui è stato il nostro eroe, colui che ci ha dato quel briciolo di dignità per tornare a vivere in quei tempi calcisticamente, e non solo, difficilissimi. Chi ama non dimentica, soprattutto se in così poco tempo una persona lascia una traccia tanto forte. Grazie Stefan.
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