La storia siete voi: Hasse Jeppson, 'o Banc 'e Napule
"Mannaggia Jeppson!" Quante volte avete sentito o magari detto queste due parole per esprimere rammarico per un avvenimento non andato secondo i piani? Sappiate che questo modo di dire è dovuto ad uno dei calciatori più controversi che abbiano mai vestito la maglia numero 9 del Napoli: Hasse Jeppson.
Partendo dal fatto che neanche Diego Armando Maradona può vantarsi dicendo di avere un modo di dire tanto caro a noi napoletani, e questo basterebbe per far meritare un posto nella nostra speciale rubrica allo svedesone, possiamo ben dire che Jeppson è uno dei calciatori più strani che abbiamo mai visto calcare i nostri campi. A descriverlo perfettamente è un suo compagno di squadra che vinse due campionati con l'Inter e troppo prematuramente scomparve nel 1975: "è portentoso così nel colpire come nel fallire il bersaglio", a dirlo è Nacka Skonglund che in quanto a fiuto del gol non gli era certamente superiore ma rende davvero l'idea di come si comportasse Jeppson in un campo da calcio, campo che ha assistito a sue grandi prodezze così come a miseri fallimenti nelle più facili delle occasioni da goal.
Jeppson nasce a Stoccolma nella vigilia di Natale del 1929 ma da bambino sarà spesso con la famiglia a Kungsbacka, città a cui resterà sempre legato e che paragonerà proprio alla nostra Napoli poche settimane dopo il milionario trasferimento orchestrato da Achille Lauro: “Quando vidi Napoli rimasi incantato. Aveva quell’odore di mare che mi riportava all’infanzia, quando stavo sugli scogli della mia Kungsbacka”. Nella piccola cittadina svedese muoverà i primi passi prima di essere ceduto al Djurgardens e prima di mettersi in mostra nel mondiale brasiliano del '50 in cui segnò una doppietta che eliminò l'Italia. In Svezia era una celebrità perché quel mondiale lo giocò da capitano dopo aver rilevato Nordhal in un'amichevole ed aver ricevuto il soprannome di Hasse Guldfot, ovvero "Hasse dal piede d'oro".
I più veloci sul mercato furono però a sorpresa gli inglesi del Charlton che lottavano per non retrocedere e grazie ai 12 gol in 12 partite, con l'aiuto di Jeppson riuscirono facilmente a salvarsi. Perché giocò così poco? Perché in Inghilterra arrivò con lo status di dilettante in quanto studente d'economia, perché li doveva solo studiare il calcio inglese e lavorare e poi perché Hasse in realtà di fare il calciatore non ne voleva sapere. La sua passione era il tennis e gli riusciva terribilmente bene.
Dopo aver sdoganato il calcio inglese segnando la prima tripletta che l'Arsenal avesse mai subito nella sua storia il presidente dell'Atalanta lo ingaggiò per cercare di restare in Serie A nel mercato di Ottobre nella stagione '51-'52.
Segnerà 22 reti quell'anno e la Dea si salvò a mani basse, inoltre Jeppson fruttò ai bergamaschi una delle più alte plusvalenze che il calcio avesse mai visto dato che arrivò in Italia, dove finalmente prese lo status di professionista, per 33 milioni di lire mentre Achille Lauro vinse l'asta che vide coinvolta anche l'Inter che fece salire il prezzo fino a 105 milioni di lire. Centocinque milioni era una cifra assolutamente pazzesca per l'epoca.
Per rendere l'idea di quanto fosse eclatante questo prezzo basti pensare che un uomo del ceto medio percepiva appena 100mila lire al mese. Lui costò 105 milioni.
Grazie a questa esorbitante cifra i napoletani, in visibilio per il colpo del presidente e riconfermato sindaco Lauro, diedero il meglio di loro con i soprannomi partendo da un semplice e sofisticato "Mr.105" per poi arrivare al geniale "Banc 'e Napule" perché secondo il popolo i 105 milioni di Jeppson erano il patrimonio che restava nelle casse della banca fondata nella Capitale del Regno delle Due Sicilie nel lontano 1539.
Nel capoluogo campano ha lasciato sentimenti contrastanti nel corso dei suoi 6 anni di permanenza, a testimoniarlo è proprio il già citato "Manmaggia Jeppson", ma la storia ci consegna uno degli attaccanti più prolifici che abbiano mai indossato la maglia azzurra in Serie A perché quando serviva, con molta fatica, la metteva dentro.
Durante la sua permanenza sono famose anche le sue scappatelle al tavolo da poker e i duetti con Lauro che mal sopportava lo svedese a cui aveva concesso molto sia sul piano economico che emozionale.
Pensate che si narra di un torneo di tennis organizzato da Leonetti nel 1953 a cui partecipò sotto mentite spoglie e dopo la benedizione del Comandante, dove batté Hermann che era la punta di diamante della Germania alla Coppa Davis, tutto questo solo perché Leonetti e Jeppson lo avevano cortesemente richiesto all'armatore. Qualche anno dopo al Tennis club Napoli incontrerà anche la sua futura moglie che lo seguirà anche nel suo ultimo anno a Torino dove si era trasferito dopo un'altra diatriba col presidente: Jeppson voleva una grande per vincere qualcosa, le richieste erano Inter, Roma o Juve. Le offerte non mancavano e Lauro le valutava finché Jeppson non si schiantò con la sua Alfa 1900 in un incidente gravissimo che uccise il suo autista e ne compromise la valutazione. Il Comandante, su tutte le furie, si accordò col Torino per una cifra irrisoria ma per avere una soddisfazione morale sullo svedese.
Jeppson non lascerà mai l'Italia, per amore e per lavoro. Nel 2008 è venuto per la prima volta al San Paolo in cui mai ha giocato e per l'occasione il Napoli gli dedicò la maglia numero 9 che fu sua in quei lontani anni '50 perché per una volta una multimilionaria società di calcio, che fa dello sviluppo economico il suo mantra, ha preso come motto personale un detto popolare: "Chi ama non dimentica" e Jeppson, mannaggia a lui, ha trovato tanti modi per restare nei nostri cuori. Grazie Jeppsòn!
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