La storia siete voi - Il Petisso Pesaola, un napoletano nato all'estero
La storia di Bruno Pesaola, il Petisso, è di quanto più romanzato possa esistere perché ogni sua azione, ogni suo movimento, è accompagnato da aneddoti, frasi ed aloni di magia , perché si ritiene impossibile che un comune mortale abbia un tale bagaglio d’esperienza e personalità, abbia un tale bagaglio di vita vissuta perché Bruno Pesaola è uno che ha giocato con Di Stefano e Piola, contro Mazzola e Boniperti, è uno che si è rapportato con Pelè e Maradona ed è uno sopravvissuto a Lauro e Ferlaino.
Eppure il Petisso c’è, c’è fin da quando in una mattinata del 1925 nell’invernale luglio argentino Gaetano, di Macerata e Inocencia, di La Coruna, diedero alla luce il Piccoletto nei sobborghi di Avellaneda.
In giovane età quello bravo col pallone in realtà non era il piccolo Bruno ma suo fratello di 7 anni più grande a cui il Petisso faceva da scudiero ma un tremendo giorno il rinculo del fucile rompe gambe e sogni del povero Giordano che riversa ogni sua speranza nel cucciolo della famiglia.
Il Petisso fa presto a farsi notare e viene preso nelle giovanili del River Plate per formare una micidiale coppia di ali con Alfredo Di Stefano ma la classe della Saetta Rubia lo oscura e a 21 anni parte per l’Italia con la fama di essere un buon giocatore, con un buon bagaglio tecnico ma non un campione. A credere in lui è la Roma di Pietro Baldassarre e qui comincia la vita mediatica di Bruno perché molti anni dopo racconterà che aveva paura della città perché per gli argentini degli anni ’30 l’Italia era sinonimo di povertà e arrivato a Roma, in preda al panico, sale sul primo taxi dove trova un signore molto taciturno. La prima corsa nella Città eterna è molto particolare perché Pesaola continua a girarsi intorno vedendo solo macerie così chiede al povero conducente se quella distruzione l’avessero portata i tedeschi o gli americani, quando il tassista rispose “i romani” il Piccoletto entrò in confusione e il suo autista dovette spiegargli tutto quello che successe nei 2000 anni che precedettero la venuta del Petisso sulle sponde del Tevere.
Nei 3 anni romani fa la bella vita e diventa grande amico di Walter Chiari con cui collaborerà a diverse pellicole ma un terribile infortunio ne mina la sua esistenza calcistica: un tremendo fallo di Girona gli rompe tibia e perone, la Roma lo scarica e lui pensa già a come passare una triste pensione da grande decaduto.
La Roma non ha però fatto i conti con la forza di volontà di un “napoletano nato all’estero” come si definisce il Petisso ed è il Novara a puntare su di lui sotto suggerimento di Silvio Piola.
A Novara c’è la rinascita e la consacrazione, lo vogliono Milan e Napoli ma la moglie Ornella è decisiva, “Andiamo a Napoli” gli diceva e così fu.
Per 33 milioni Achille Lauro strappò uno degli uomini che più ha plagiato la storia di questa società e ne fece diventare uno dei simboli grazie al duo formato con Vinicio. Circa 250 partite in maglia azzurra, solo 9 al San Paolo, tra cui la splendida gara di inaugurazione vinta per 2-1 sulla Juventus prima del trasferimento al Genoa e alla Scafatese, prima dell’inizio di una delle storie più grandi mai raccontate.
A Scafati comincia la carriera da allenatore ma a febbraio è costretto a lasciare, è costretto a lasciare perché il suo grande amore era in grande difficoltà: il Napoli rischiava di retrocedere e lui doveva fare qualcosa perché chi è parte della città non può fare a meno di soffrire come un cane quando quella città è in tale difficoltà perché quando il Napoli soffre è Napoli stessa a soffrire perché “Il Napoli non è una squadra di calcio, è lo stato d’animo di una città”.
Compie la missione disperata, salva la squadra ma non si limita a quello perché l’anno dopo, con la squadra in serie B riesce ad ottenere la promozione e la vittoria in Coppa Italia, prima società della cadetteria a riuscire nell’impresa. Regala al Napoli anche il suo primo trofeo internazionale, la Coppa delle Alpi e lo fa a modo suo, con uno stratagemma da vecchia volpe, da scugnizzo napoletano perché la coppa vedeva Napoli e Juventus in due giorni diversi con due squadre svizzere, il Napoli doveva vincere ma all’intervallo le due squadre italiane erano ancora a pari punti così dice allo speaker di annunciare al pubblico che la Juventus sta vincendo e va negli spogliatoi ad urlare in faccia a Sivori “Lasci la vittoria al tuo nemico Heriberto?! Bella figura!”. Missione compiuta perché far scatenare Omar “El Cabezon” Sivori equivaleva a vittoria certa difatti fece 3 assist per Bean, Canè e Montefusco.
Questo era Pesaola, questo era il “Mourinho all’incontrario”, colui che con una media di 40 sigarette a partita riusciva a compiere il suo sporco lavoro, colui che per incitare l’esigente pubblico del San Paolo agitava il braccio sinistro in avanti per spronare la squadra all’attacco mentre in segreto, col braccio destro, intimava i sui ragazzi a restare vigili in difesa. Pesaola era il “Mourinho all’incontrario” perché non combatteva i media con l’arroganza, non attirava tutta l’attenzione su di se per dei gesti inconsulti ma per la sua semplicità, per la sua simpatia. Pesaola era il tipo d’uomo che in una conferenza stampa pre-partita, mentre era sulla panchina del Bologna, annunciò al mondo una zemaniana partita all’attacco mentre in gran segreto preparava il più italiano dei catenacci, al che un giornalista di Bergamo, tifoso dell’Atalanta che dominò quella partita pur non riuscendo a portare a casa il risultato, con la consueta cortesia che tanti bergamaschi dedicano alle persone del Sud gli disse che si sentiva preso in giro solo perché aveva annunciato un modulo tattico non messo in pratica. Il Petisso con la sua solita flemma gli rispose che lui aveva mantenuto le promesse ma che l’Atalanta gli aveva rubato l’idea.
Un napoletano nato all’estero.
Da più di mezzo secolo il Petisso giace sornione ai piedi del Vesuvio col suo immancabile cappotto di cammello portafortuna, con quel cappotto di cammello che forse ispirò Bertolucci per “Ultimo tango a Parigi” e che in seguitò ispirò tantissimi altri allenatori come quello di Massimo Giacomini che portava sfortuna perché, se ancora non fosse chiaro, lui è un “Napoletano nato all’estero”.
È una dicitura fantastica che solo la nostra città può permettersi di avere, è una dicitura usata da tantissimi altri uomini di sport e cultura, è una dicitura che fa parte del Superio di Bruno Pesaola, così come le sue storie perché, così come le sue leggendarie frasi perché “A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui e così egli diventa Immortale”.
Grazie di tutto Petisso.
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